Padre Luigi Bruzza e l'archeologia vercellese

 

 

Testo e note tratte dal I e II Capitolo del volume:

Giovanni Sommo

Corrispondenze archeologiche vercellesi. Documenti per una lettura storica e territoriale delle collezioni archeologiche locali del Museo C. Leone, 1994

INDICE

Capitolo I

Un'incomparabile presenza

Luigi Bruzza a Vercelli

Il primo allettamento degli animi

I fastidi

Note

Capitolo II

Un precursore

Ritorno in Piemonte

Roma e la formazione dell'archeologo

Le iscrizioni antiche vercellesi

Gli ultimi anni e l'Archeologia Cristiana

Note

 

 

 

 

Padre Luigi Bruzza (1813-1882)

CAPITOLO I [torna all'indice]

Un'incomparabile presenza

Alla figura di Luigi Bruzza, che forse più di ogni altro meritò a Vercelli la qualifica di "eccitatore dei forti studi"1, sono state dedicate, fin dalla sua scomparsa, molte, anche se spesso superficiali, lodi. A distanza di più di un secolo, tuttavia, pochi, in special modo nella sua patria adottiva, sono coloro che ne ricordano l'opera e la fondamentale importanza della sua presenza a Vercelli, città che in gran parte deve la propria solida tradizione di studi storici, antichistici e storico-artistici, ed anche alcune istituzioni culturali, proprio al Padre Bruzza. Nel considerare tale incomparabile presenza e i suoi effetti sulla cultura di un centro provinciale, tuttora, e ancor più allora, profondamente ripiegato su se stesso, essa assume contorni di assoluta eccezionalità. Tutto ciò acuisce la curiosità di chi si immerge in quella realtà lontana, ma non poi molto, attraverso la lettura di corrispondenze, per lo più indirizzate da antichi amici ed ex allievi al barnabita, ormai lontano da Vercelli. Si è tentati, dopo una attenta valutazione dei contributi scientifici e dei dati biografici del Bruzza, di ricercare qualche cosa di particolare che contraddistingua in qualche modo il carattere dell'uomo e del religioso, che seppe, sia pure per un breve momento, indirizzare le azioni, anche amministrative, della municipalità, verso traguardi che solo oggi, con il ritorno dopo ottocento anni in città delle istituzioni universitarie, si possono valutare appieno nella loro lungimiranza. Si tratta di un giudizio esclusivamente fondato sulle opere locali e forse esasperato dal campanilismo, ché una rivisitazione complessiva dello studioso all'interno delle discipline specifiche resta sostanzialmente da compiere; un giudizio di eccezionale positività, che non coinvolge se non marginalmente le qualità umane del religioso, tuttavia, certamente di spicco. La città, che mostrava, nonostante l'incuria, il suo "nobile" passato, così come, ad un'analisi un po'più accurata, mostra la sua non comune statura il Padre Bruzza, sarà come segnata da una presenza benevola e catalizzante, i cui effetti sono tuttora palpabili. Un fenomeno, dunque, irripetibile e un legame, quello fra il barnabita e la sonnolenta cittadina agricola dal glorioso passato, che si radicalizza precocemente, se, già nel 1841, due anni dopo il suo arrivo a Vercelli, egli potè scrivere: "Quasi mi sdegno a vedere, che tanto bene non abbiano saputo [i Vercellesi] colla concordia mantenere, e che essi medesimi guastassero dopo, quello che poche ore innanzi avevano saviamente ordinato; il che fu non dubbia cagione perché la città a maggior grandezza non pervenisse, e che, a guisa d'inferma, viziata nelle interne sue parti, fosse costretta a languire" 2. "Triste specchio delle condizioni di una remota età, che ripete anche oggi la sua dolorosa immagine" 3, commenterà Cesare Faccio quarant'anni dopo, senza certamente poter immaginare quanti, centodieci anni di poi, gli avrebbero fatto eco annuendo al triste presagio. Amore a prima vista, dunque, e "sdegno" per una città sfortunata, sicuramente ricca di storia, di documenti e di monumenti ignorati, tali da poter stimolare in un giovane studioso, che già aveva mostrato attitudini inconsuete 4, il desiderio di farne la palestra del proprio lavoro nei prossimi decenni. Con lo stesso spirito, carico di incorruttibile amore civico, Luigi Bruzza sarà intento, fino a pochi giorni prima della morte, nel 1883, allo studio delle antichità vercellesi. Un'attaccamento non comune, dunque, certamente ricambiato dalla città, e un percorso umano e intellettuale caratterizzato da una limpida coerenza, da una assoluta dedizione, da una seconda vocazione terrena, fortunatamente assecondata dall'Ordine e dal Vaticano. Proprio durante il soggiorno a Vercelli, non a caso, matura "lo svolto"5, come sarà definita l'intima convinzione, illuminante, di volersi dedicare all'epigrafia e all'archeologia, abbandonando completamente ogni altro interesse scientifico, in cui peraltro Bruzza aveva già dato promettenti frutti.Questa scelta, come vedremo, avrà notevoli conseguenze, sia per la città che la sorte destinò al Bruzza, sia per le discipline epigrafiche ed archeologiche italiane.

Luigi Bruzza a Vercelli. [torna all'indice]

Di origine genovese, e di "agiata famiglia" 6, Luigi Maria Bruzza nacque il 15 marzo 1813 7. Studiò Lettere e Filosofia all'Università di Genova, dove conobbe P. Giovanni Battista Spotorno, docente di Letteratura latina, cui certamente si deve la prima educazione del Bruzza allo studio delle antichità e, forse, l'ispirazione alla vocazione religiosa, "con la voce tacita dell'abito e dei candidi costumi" 8. Conseguita la laurea il 24 luglio del 1830, l'anno successivo Luigi entrò nel Noviziato di S. Bartolomeo degli Armeni a Genova, dove il 7 ottobre 1832 professò i voti e vestì l'abito dei Barnabiti. Pochi giorni dopo era a Roma per iniziarvi gli studi di teologia, che avrebbe concluso tre anni dopo con l'ordinazione sacerdotale. Sotto la guida del P. Luigi Ungarelli, grande orientalista e archeologo, e avendo compagno di studi don Carlo Vercellone, cui sarà legato da intima amicizia, il contatto diretto con i monumenti romani produsse una prima giovanile passione per l'antichistica, che si manifestò, curiosamente, con un commento ai frammenti di iscrizioni che si rinvenivano nella tenuta dei Padri di San Carlo a Monteverde, dove gli studenti passavano le vacanze autunnali 9. Nell'ottobre 1835 il Bruzza, terminati gli studi, fu destinato al Collegio Ducale "Maria Luigia" di Parma, aperto l'anno precedente, come insegnante di Grammatica. Fu un soggiorno di soli quattro anni, contrassegnato da fitti contatti epistolari con l'amico Vercellone e con i maestri Ungarelli e Spotorno.Nell'autunno del 1839, l'ormai ventiseienne Bruzza fu chiamato a Vercelli, alle R. Scuole di S. Cristoforo, con l'incarico dell'insegnamento della "Retorica" 10. I Barnabiti erano in Vercelli dal XVI secolo e vi si erano reinsediati nel 1818, dopo il breve periodo delle soppressioni napoleoniche, officiando la Parrocchia di S. Cristoforo e dirigendo, dal 1833, le scuole pubbliche e quello che oggi chiameremmo Liceo-Ginnasio 11. Quali fossero in quegli anni le condizioni della città, capoluogo di una vasta provincia agricola, un tempo municipium della Cisalpina e, successivamente, comune medievale fra i più importanti dell'Italia settentrionale, lo possiamo intravvedere dalle cronache di quei primi decenni del secolo 12. Solo circa vent'anni prima Vercelli era tornata alla signoria savoiarda, dopo essere stata parte del territorio metropolitano francese e capoluogo del "Dipartimento della Sesia". Vi risiedevano, quindi, le numerose famiglie della locale nobiltà terriera, il comandante della città e provincia, la guarnigione del Reggimento Nizza Cavalleria, il Prefetto e il comando dei Carabinieri Reali. Carlo Felice aveva poi allontanato da Torino l'Università, che considerava corrotta, destinando a Vercelli gli insegnamenti di medicina, chirurgia, farmacia, notariato e architettura, frequentati da più di cento studenti. Una città, dunque, la Vercelli di quegli anni, insieme piazzaforte sabauda, centro agricolo e sede universitaria, dove peraltro erano comuni gli episodi di banditismo, le rovinose alluvioni e le epidemie di colera. Ricchissimi di antichi documenti ed intatti erano gli archivi comunali ed ecclesiastici e le biblioteche delle più antiche casate nobili e notevolissimo il patrimonio architettonico ed artistico, religioso e civile, a partire dalla basilica di S. Andrea, da poco restaurata, per giungere sino all'importantissimo ciclo di affreschi gaudenziani conservati proprio nella chiesa di S. Cristoforo, sede dei Barnabiti, o al cinquecentesco palazzo Centori, trasformato per l'uso abitativo. Molte, poi, le raccolte private di dipinti e, unica, la raccolta epigrafica che il marchese di Gattinara aveva ordinata nell'atrio del proprio palazzo. Numerosissimi, infine, erano i documenti di arte antica e medievale che la Chiesa vercellese, la più antica del Piemonte, conservava in Duomo ed in Seminario e non pochi i monumenti antichi che ornavano l'atrio e lo scalone della sede municipale, testimonianza di una tradizione storica e antichistica che affondava le proprie radici nei secoli precedenti. Vercelli, quindi, anche città d'arte, costellata di antichi palazzi medievali e rinascimentali, e, tuttavia, ancora priva di un adeguato sistema fognario e carente di vie lastricate; si camminava spesso allora, infatti, nel fango a qualche decina di centimetri di quota dagli antichi basoli romani.Probabilmente proprio quest'abbondanza di testimonianze fu responsabile del particolare e subitaneo rapporto che si dovette instaurare fra il giovane professore e l'antica città padana, in grado di affascinare con i propri monumenti e con le passate glorie municipali i migliori istinti dello studioso, che già, come si è visto, erano affiorati a Roma e a Parma. In quegli anni andavano compiendosi le riforme che, anche in campo culturale, erano state attuate da Carlo Alberto e che politicamente preparavano lo Statuto del 1848 ed il primo governo costituzionale piemontese. Anche a Vercelli, dopo i primi anni della Restaurazione, si risvegliava una certa vitalità culturale, nonostante gli ambienti torinesi fossero tuttora pervasi da un centralismo, spesso soffocante 13. La cultura vercellese appare dominata, nel periodo in cui il Bruzza giunge in città, da due figure di aristocratici "protettori delle lettere": il conte Emiliano Avogadro della Motta, nel cui salotto si riunivano i pochi cultori di storia locale, e il marchese Dionigi Arborio di Gattinara e Viverone, eletto sindaco nel 1833, che si era impegnato nel riordino delle carte dell'archivio comunale, incaricandone il professor Cristoforo Baggiolini 14, cui era succeduto Emiliano Aprati, e che aveva raccolto e ordinato un buon numero di iscrizioni antiche nel proprio palazzo. Partecipavano alle riunioni del "sinedrio" nel salotto del conte Avogadro: Vittorio Mandelli 15, storico e paleografo, Emiliano Aprati, conservatore dell'archivio storico comunale, e il nuovo professore di retorica Luigi Bruzza. è stato definitivamente chiarito che tale cosidetta "commissione di storia patria" vercellese non aveva rapporto diretto con la Deputazione torinese, impegnata nell'edizione della collana "Monumenta Historiae Patriae", della quale addirittura era probabilmente antagonista 16. Frequentando assiduamente gli archivi ed i loro conservatori, leggendo e collazionando manoscritti, il P. Bruzza dovette assai velocemente impadronirsi delle principali fonti storiche disponibili in città. Occasioni per trattare argomenti di storia municipale furono le "Orazioni", dette in occasione della premiazione degli alunni, con cui tradizionalmente si apriva l'anno scolastico 17. La prima di argomento storico, "Delle lodi della città di Vercelli", fu pronunciata dal Bruzza nel 1841, solo due anni dopo il suo arrivo, e verrà stampata l'anno successivo "per cura del Municipio". In essa sono raccolti i frutti di studi storici dei primi anni del barnabita a Vercelli, i quali già lo avevano portato ad una conoscenza non superficiale e critica dei documenti, tanto da poter delineare un quadro complessivo della storia municipale, forse un "programma di ricerca" da sviluppare in futuro, che già però, precocemente, includeva il progetto del Lapidario: " ...i marmi, i quali se non come ora dispersi, ma per provvido consiglio ordinati fossero e in un sol luogo adunati, avrebbe la Città vostra un parlante argomento di gloria..." 18. Dalle note che corredano l'opuscolo vediamo come il Bruzza, accuratissimo nella critica delle fonti, avesse avuto manoscritti e notizie da Mandelli e Aprati, dal sindaco Arborio di Gattinara e dal bibliotecario dell'Agnesiana e come il suo saggio, in forma di orazione, fosse accolto con entusiamo, tanto da meritare, inusitato onore, la pubblicazione a spese della città. Padre Colciago, profondo indagatore delle corrispondenze bruzziane e insuperato biografo del Bruzza, ebbe a notare come il "grafico" degli studi del Bruzza segua interessi storici dal '39 al '45, per indirizzarsi sempre più decisamente ad argomenti archeologici a partire dal 1844, lasciando da parte progressivamente, intorno al '46, la storia vercellese, "per non fare una fatica inutile" 19. In effetti Bruzza, grande lavoratore e raccoglitore di notizie, ebbe vari motivi per allontanarsi dagli studi storici e forse, non ultimo, la mancata accettazione della sua candidatura alla Deputazione di Storia Patria nel 1846, sulla quale torneremo. Tuttavia certamente, come mostrano alcuni documenti 20, egli era già impegnato sul fronte della raccolta di testi epigrafici del Vercellese e riguardanti Vercelli, fin dagli anni '42-'43, anche solo, probabilmente, per completare il quadro, ancor poco chiaro, della storia antica della città. Inoltre, già nel 1842, Bruzza aveva ottenuto dall'allora sindaco Gifflenga il permesso di poter sistemare le epigrafi di proprietà municipale, che si trovavano sparse per la città, nell'atrio, nello scalone e nel giardino del palazzo civico 21, realizzandone un primo ordinamento, propedeutico al suo progetto di Lapidario, la cui istituzione aveva auspicato già nell'orazione dell'anno precedente. Il saggio del 1841 era dunque un vero "piano di lavoro" e veramente incredibile la mole di ricerche che in quegli anni giovanili, tenuto conto anche degli impegni scolastici, il Bruzza fu in grado di sviluppare, elaborando, dopo aver raggiunto e forse superato la preparazione dei propri amici, un progetto complessivo di aggiornamento e di rivisitazione delle tematiche di storia locale e una forte coscienza della necessità di tutela dei monumenti. Nel dicembre 1843 Bruzza legge il suo più importante saggio di storia della storiografia: "Sugli storici inediti vercellesi" 22. è un'opera documentatissima, e tuttora in gran parte valida, sulla storiografia vercellese dal Medioevo alla fine del XVIII secolo; da essa traspare la profonda conoscenza delle fonti, dalla critica delle quali l'autore rileva la necessità, nel metodo, di un dialogo interdisciplinare fra archeologia, epigrafia e storia 23, obiettivo, ancora alla metà del secolo scorso e forse ancora oggi, ben lontano dall'essere raggiunto. Inoltre in questo saggio di critica storiografica si rileva una concezione di impressionante attualità della "storia locale", disciplina nella quale confluiscono tutte le conoscenze territoriali e nella quale l'archeologia e l'epigrafia hanno essenzialmente valore di fonte, la cui "istituzione" è relativamente recente e la cui importanza per la storia "generale", praticando un esplorazione "a tutto campo", è stata solo da poco rivalutata 24. Non meno importante il concetto, chiaramente espresso dal Bruzza, dell'importanza della "cultura materiale": "né dallo studio dei marmi si dovrebbe disgiungere quello de'vasi, delle tegole, e delle lucerne letterate" 25. Marchi di fabbrica, officine, merci ed economia sono quindi ben presenti al Bruzza come documenti per la storia antica del territorio, e non solo come oggetti di raccolta antiquaria. Storia civile, storia della chiesa, storia della cultura, storia della pittura, sono le direzioni di ricerca che l'autore individua e che in parte praticherà egli stesso in futuro, giungendo ad auspicare, riguardo al copioso patrimonio artistico conservato a Vercelli e nel suo territorio, la creazione nel capoluogo di una pinacoteca pubblica 26. Solo nel 1840 era sorta a Vercelli la "Società per l'insegnamento gratuito del disegno", promossa dal conte Emanuele Mella, e solo nel 1850 il conte Feliciano Arborio di Gattinara istituirà, con proprio testamento l'"Accademia di Belle Arti", dotandola convenientemente 27. L'auspicio del Padre Bruzza costituisce quindi la prima pubblica e motivata richiesta di una adeguata forma di tutela del patrimonio artistico locale, in una forma, così come per il Lapidario, diretta alla pubblica fruizione; ciò avviene certamente sullo stimolo della politica dei beni culturali promossa da Carlo Alberto 28, ma anche, altrettanto certamente, come diretta conseguenza dei primi studi e delle prime ricerche bruzziane in campo storico-artistico, ricerche lungamente ed amorevolmente perseguite per essere poi abbandonate ed affidate, pressoché compiute, al Padre Colombo, come del resto era uso fra i Barnabiti 29. Anche quest' "orazione", forse ancora più della prima, è da considerarsi, dunque, una vera pietra miliare nel panorama storiografico locale ed anch'essa contiene, come la prima, elementi di forte innovazione, di critica e di proposizione, oltre ad una attenzione del tutto particolare alla questione della tutela. Essa fornisce gli elementi fondamentali per una generale programmazione della ricerca storica locale e contiene tutti gli spunti necessari ad una complessiva riqualificazione culturale della città. Non è poco se si tiene conto che l'arrivo del barnabita a Vercelli risale a soli quattro anni prima.

Il primo allettamento degli animi. [torna all'indice]

Fra i molti interessi di studio del Bruzza quello per i monumenti e per la storia della città romana fu uno dei più precoci e duraturi. Vi ritornerà con un discorso letto, come sempre in occasione dell'apertura dell'anno scolastico, nel 1845 e stampato l'anno seguente: "Sopra Vibio Crispo" 30. Il brillante oratore e cortigiano di origini vercellesi vissuto a Roma ai tempi della dinastia dei Flavi è pretesto per una valutazione delle origini celtiche della città e della sua importanza in epoca romana. Il lavoro è anche considerato il frutto di un momento di passaggio per il suo autore dagli studi storici a quelli archeologici 31. Proprio nella preparazione del saggio, Bruzza entra infatti in contatto epistolare con Bartolomeo Borghesi, considerato il maggiore epigrafista e archeologo italiano, maturando probabilmente la propria scelta di dedicarsi a tali discipline, spintone forse anche dalla delusione, difficilmente valutabile nei suoi effetti, provata nel non essere ammesso alla Deputazione di Storia Patria piemontese. Delusione che io immagino cocente, anche se non esternata - Bruzza ne parla con una o due laconiche comunicazioni solo all'amico Vercellone 32- e comunque in grado di produrre un repentino disgusto per certi ambienti torinesi e l'allontanamento dalle materie di ricerca che direttamente avrebbero coinvolto il giudizio della Deputazione. Non sappiamo però quanto questa decisione fosse latente, conoscendo la particolare facilità e propensione del nostro barnabita per gli studi di antichistica, e se si sarebbe manifestata con la stessa repentina determinazione se non fosse accaduto l'"incidente" alla Deputazione. Si tratta di un argomento comunque di difficile chiarimento, sia per il silenzio e la parzialità delle notizie della fonte direttamente interessata, sia per l'assenza di una chiara documentazione dell'accaduto nei verbali della stessa Deputazione 33. Negli anni successivi altri fatti, impegni scolastici più gravosi e il trasferimento, renderanno senza dubbio definitiva la svolta negli studi del Bruzza, con sicuro vantaggio per l'archeologia italiana e chissà con quale inestimabile danno per gli studi storici vercellesi, presumendone la prosecuzione, anche parziale, da parte del barnabita se la sua permanenza in città, dove essi non erano certo "il primo allettamento degli animi" 34, si fosse prolungata anche di un solo decennio.Luigi Bruzza era ormai entrato in proficuo contatto con i maggiori studiosi piemontesi, fra i quali Carlo Promis, futuro autore di una "Storia antica di Torino", improntata ai nuovi criteri di storiografia locale, Carlo Baudi di Vesme, Costanzo Gazzera, cui il Bruzza sarà utile per il suo lavoro sulle "Iscrizioni cristiane piemontesi" e Domenico Promis 35. Anche Borghesi era stato prodigo di gentilezze nei confronti del barnabita. Alcuni riconoscimenti da parte della cultura ufficiale giungeranno al Bruzza con le nomine a socio corripondente da parte dell'Accademia delle Scienze ed Arti di Alessandria e dell'Istituto Germanico di corrispondenza archeologica di Roma (1847) 36; inoltre Gazzera era segretario dei due più prestigiosi sodalizi scientifici torinesi, l'Accademia delle Scienze e la Deputazione, Bruzza diverrà socio corrispondente della prima solo nel 1881, alcuni anni prima della sua scomparsa 37, e non sarà mai, nonostante i suoi successivi risultati, membro della seconda. Queste circostanze ci confermano nell'impressione che la chiusura e l'emarginazione degli ambienti ufficiali torinesi provocò allo studioso un comprensibile scoraggiamento, forse accompagnato da una serie di difficoltà incontrate, passati gli entusiasmi iniziali, anche a Vercelli, dove, probabilmente, dopo aver avuto l'appoggio municipale all'uscita del suo primo "discorso", stampato dalla tipografia Ibertis, i due seguenti, per i tipi del De-Gaudenzi, dovettero essere editi dallo stesso autore, non riportando infatti alcun riferimento o ringraziamento che possa far pensare ad un intervento munifico analogo al precedente.L'attività editoriale del Bruzza a Vercelli è comunque assai più ampia. Egli curò infatti la stampa e la prefazione di varie opere, sia di interesse locale che didattico 38; fra le prime ricordiamo l'edizione del manoscritto di Giuseppe De Rossi "Memorie relative alla Fabbrica della Cattedrale di S. Eusebio di Vercelli" (1847) 39, un prezioso "giornale di scavo" settecentesco, e "Storia patria della festa di S. Eusebio" (1853) 40, lavoro apparso sul "Vessillo Vercellese". Di molte ricerche vercellesi incompiute si sono inoltre perdute le tracce, come nel caso della dissertazione "Sull'origine e sugli uffici degli advocati o Vicedomini della Chiesa di Vercelli" (1847) 41, o della memoria giornalistica relativa agli scavi vercellesi del 1851 42. L'attività principale del barnabita era comunque orientata in quegli anni, fra i vari impegni minori, a raccogliere materiale negli archivi e a perfezionare l'impostazione dei due suoi più importanti lavori, dedicati alle iscrizioni antiche e ai pittori vercellesi 43, nessuno dei quali sarà terminato a Vercelli.

I fastidi. [torna all'indice]

Una "mazzata", come egli stesso la definì 44, fu l'inaspettata nomina all'incarico di Rettore delle scuole di S. Cristoforo, decisa nella primavera del 1847 dal Capitolo Generale dei Barnabiti, forse proprio con il determinante intervento del Padre Vercellone, Assistente Generale dell'Ordine, e come diretta conseguenza di alcune valutazioni sulla situazione vercellese, esternate dal Bruzza all'amico. Si tratta della questione relativa alla "concorrenza" esistente fra Barnabiti e Gesuiti a Vercelli per l'apertura del Collegio Convitto e in generale per l'incarico dell'insegnamento, alquanto smussata nella biografia del Colciago e rivisitata, con lucidità e senza i pudori del religioso, nel recente e chiarificatore saggio del Romagnani 45. Così scriveva il Bruzza al Vercellone il 17 aprile 1847: "Caldeggiate l'apertura del Collegio Convitto [...]: la città è in fervore di sottoscrizione; pagherebbero tutto [...]. Noi siamo minacciati dalla venuta dei Gesuiti, ed è certo che se noi tardiamo, verranno essi ad aprire un Collegio; sentirete a voce che già venne qui, e tuttora si trova, un prete il quale voleva aprirlo a suo conto, ma v'erano molte apparenze per credere che due anni dopo l'avrebbe loro ceduto, ed in somma non sarebbe che un emissario. Notate che fu gesuita due anni [...] 46". La città era dunque divisa: da una parte i Barnabiti, che erano sostenuti dal Gattinara, il cui mandato in Consiglio comunale era in scadenza, e da buona parte dell'opinione pubblica, dall'altra erano i Gesuiti, sostenuti dal conte Avogadro della Motta, che aveva appena lasciato l'incarico di Riformatore delle Regie Scuole di Vercelli, e da altri notabili, privi del sostegno della pubblica opinione. Il Bruzza, che aveva caldeggiato l'apertura del Collegio Convitto, ebbe la nomina a Rettore nella primavera del 1847 e nell'ottobre dello stesso anno il Convitto era una realtà, dopo gli accordi presi con il Comune e il benestare del Consiglio Generalizio 47. Da questo episodio emerge un Padre Bruzza profondamente avverso alla Compagnia di Gesù, avversione del resto confermata da altre fonti ed occasioni, ma anche avversario del conte Avogadro, uomo di fiducia vercellese della Deputazione di Storia Patria, oltre che fautore dei Gesuiti. Ciò in parte può spiegare come certe posizioni politiche del barnabita possano averne danneggiato i rapporti con il notabilato conservatore e con una parte dell'aristocrazia vercellese e provocato incidenti come la mancata accettazione alla Deputazione torinese, di cui si è detto poc'anzi. Luigi Bruzza si era dunque profondamente inserito al di fuori vita culturale cittadina e, certamente, non nascondeva le proprie convinzioni politiche, come dimostrò nel 1848, ma mantenne sempre un atteggiamento equilibrato e responsabile, che venne in seguito scambiato per debolezza dai superiori. Il suo patriottismo emerge chiaramente dopo l'entrata in guerra del Piemonte, attraverso un fitto epistolario indirizzato al Vercellone, e così pure le sue simpatie per casa Savoia e per la politica piemontese 48. Nel gennaio del 1848 Bruzza scriveva all'amico Vercellone: "[...] sono morto e la propositura è stata una mazzata che mi ha atterrato [...]. Prevedo che non avrò la forza per continuare [...]. Gli studi li ho abbandonati [...]. I fastidi sono molto maggiori della mia piccola testa " 49. Rinunciò quindi all'incarico di più grave responsabilità e tornò all'insegnamento e alle proprie ricerche. Ma le cose non andavano troppo bene, né per il Bruzza, costantemente oberato dall'incarico di Direttore degli studi che tuttora ricopriva, né per il Collegio. La irreperibilità degli Atti del Collegio di S. Cristoforo rende difficile comprendere quali furono le circostanze che resero insopportabili al Padre Bruzza le proprie incombenze e che fecero presagire un'evoluzione negativa dell'istituzione scolastica 50. Abbiamo solo alcuni brani ed alcune frasi contenute nelle corrispondenze del Bruzza e dei sui confratelli, nelle quali si parla di "ostinazione mal intesa di un agente del Governo" e si prevede un esito negativo: "lasciamo le scuole, c'è un partito potentissimo che ce ne vuol fuori", "mirano a farci perdere il nostro palazzo"51. Da questi spiragli è possibile ipotizzare che la fazione sconfitta qualche anno prima si stesse prepotentemente prendendo una rivincita con l'appoggio di aderenze governative, nonostante la cacciata dei Gesuiti dal Piemonte del 1848. Problemi seri erano inoltre sorti fra la Congregazione dei Barnabiti e il Ministero circa i trasferimenti dei Padri insegnanti, creando un conflitto di competenze insanabile, che portò, nel 1853, alla rottura della convenzione con il Comune da parte dei Barnabiti. Già nel novembre 1854 era in funzione il nuovo Convitto e Collegio Nazionale nei locali dell'ex collegio gesuitico e nel 1856 venivano costruite le nuove scuole del Ginnasio-Liceo 52. Con il 1855 i Barnabiti furono, infine, estromessi da Vercelli, dove resterà sino al 1897, anno della cessione della chiesa e del Collegio ai Domenicani, un solo barnabita con funzione di parroco di S. Cristoforo 53. La rinuncia della Congregazione va pertanto inquadrata soprattutto nella generale questione dei difficili rapporti di quegli anni fra il Piemonte e la Chiesa e, se pure vi furono, negli scontri politici tra fazioni locali di cui ben poco sappiamo. Del resto Bruzza aveva più volte manifestato il desiderio di lasciare Vercelli, dove la vita gli era diventata difficile e per alcuni versi insopportabile, mancavano i libri che gli erano necessari e aveva sempre meno tempo per i suoi studi. Nel novembre 1853 Padre Luigi Bruzza partì per Napoli, trasferito alle scuole di S. Maria di Caravaggio 54. A Vercelli lasciò moltissimi allievi e amici che continuarono ad essergli vicini, primo fra tutti Sereno Caccianotti, che proseguirà le ricerche d'archivio per l'opera sui pittori vercellesi e sarà, come vedremo, il suo più assiduo corrispondente.

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NOTE

1. Faccio 1884, p. 9.

2. Bruzza 1842, p. 20

3. Faccio 1884, p. 17.

4. Lo ricordiamo impegnato al commento delle iscrizioni che si rinvenivano nella tenuta di Monteverde, in complesse esercitazioni di orientalistica con l'Ungarelli e nella raccolta di notizie bibliografiche sugli scrittori barnabiti.

5. Così verrà definito quel periodo cruciale dal Colciago (Colciago 1940, p. 31).

6. Faccio 1884, p. 11.

7. Colciago 1940, p. 3. La data era stata riportata con varie incertezze, questa si ricava dai documenti dell'Ordine.

8. Colciago 1940, p. 3.

9. Il Colciago riferisce che lo scritto fu pubblicato dal Vercellone nel 1851, vincendo la riluttanza del Bruzza, che gli scriveva : "...vi prego di non pensare più a pubblicarlo perché non me ne verrebbe onore" (Colciago 1940, p. 4 nota 2).

10. Sui programmi di studio del Collegio vercellese e sugli indirizzi didattici si veda Capellino 1987.

11. In realtà l'istituzione del "Liceo-Ginnasio" si deve alla legge Casati del 1859. Sulle vicende amministrative che videro i Gesuiti soppiantare i Barnabiti nell'insegnamento a Vercelli la storiografia locale prudentemente tace (Faccio 1959; Berzero 1959).

12. Interessante, a questo proposito, la lettura della cronaca anonima, forse di un anziano canonico, riguardante il ventennio di poco successivo alla Restaurazione (1823-1843), edita dal Gorini (Gorini 1971).

13. Fondamentale e aggiornata fonte per la politica culturale piemontese e vercellese negli anni precedenti l'unità nazionale è il contributo di Romagnani (Romagnani 1987), particolarmente attento ai rapporti che si instaurarono fra gli esponenti vercellesi e torinesi della "cultura ufficiale" e il P. Bruzza.

14. Cristoforo Baggiolini, originario di Alessandria, aveva pubblicato nel 1836

il primo volume, rimasto tale, di una ponderosa "Storia politica e religiosa di Vercelli", nella quale aveva, fra l'altro, commentato alcune iscrizioni latine del Vercellese e in cui dava notizia della scoperta di un'area necropolare presso la cascina Sapienza. Si trattò, complessivamente, di un lavoro verboso, improntato ai criteri e allo stile storiografico del secolo precedente.

15. Vittorio Mandelli darà alla luce, fra il 1857 e il 1861, una, tuttora fondamentale, "Storia del Comune di Vercelli nel Medio Evo", basata sulla conoscenza diretta e approfondita dei documenti d'archivio.

16. Cfr. Romagnani 1987, p. 5.

17. Presso l'Archivio Generalizio dei Barnabiti se ne conservano dieci, dal 1839 al 1849. Quattro di esse, di argomento storico, sono edite. Cfr. Colciago 1940, p. 12 nota 4.

18. Bruzza 1842, p. 15.

19. Colciago 1940, p. 18.

20. Si tratta di due lettere del parroco di Cigliano, Natale Martinetti, dirette al Bruzza e dell'unica lettera conservata a Vercelli dell'amico Carlo Vercellone, tutte del 1843. Dal loro contenuto appare chiaramente che l'attività di ricerca epigrafica era in quell'anno già iniziata. Se ne riporta l'elenco con alcuni brani di particolare interesse.

[Cigliano, giugno-luglio 1843]. Natale Martinetti a Luigi Bruzza. Lettera.

Finalmente ieri 12 corrente ho fatta la intesa gita sino alla terra di Vettigné alla casa del signor Amedeo Perini; dove coll'aiuto di quattro uomini, che io pagai, fu alquanto smosso dal muro l'avello di pietra trovato in Cigliano, e colà miseramente buttato per un po' di denaro. Smosso che fu alquanto da potervi io passare, e passato vi lessi la tanto sospirata latina iscrizione [...]. Ella vede dunque in quale pericolo trovisi uno dei più belli monumenti della mia patria, epperciò la pregherei in caso che Cigliano nulla facesse per redimerlo, volesse un po' far ella in qualche maniera il possibile di farne far l'acquisto dalla città di Vercelli, per cui sapessimo sicuri di vederlo fuori di pericolo, ed anzi conservato a beneficio degli amanti delle cose Patrie, come ho veduto a farsi dalla stessa città di simili cose [...] (Autogr. pp. 2. Tr. parz. Coll. ACV). Il sarcofago menzionato è quello di Taia Casticia, conservato successivamente al Municipio di Cigliano e pervenuto infine al Lapidario vercellese (Roda 1985, n. 98. Si vedano inoltre i documenti nn. 105-117-136-140-141-142-143-154-155, in questo stesso volume).

Cenni d'istoria patria dell'insigne borgo di Cigliano. Martinetti Natale. 1842.

[...] trovata circa l'anno 1791 nello scavarsi le fondamenta della presente chiesa parrocchiale di Cigliano, dove ora esiste il campanile [...]. Tale urna, venduta a varii, trovasi ora nella terra di Vettigné, in casa del signor Amedeo Perini, miserabilmente e sfortunatamente fatta servire per abbeveratoio vicino ad una cisterna [...]. Unitamente alla suddetta urna se ne trovarono altre di terra cotta con lucerne della medesima materia, dette "lumi eterni". Molte medaglie antiche furono trovate in varie circostanze e nell'interno di Cigliano e nei campi del territorio, [...] alcune di Nerone, di Caio Caligola, e di altri imperatori romani loro successori. Nel casale chiamato "i Runchi", ed in una regione campestre detta il "Gerbido", verso il mezzodì di Cigliano, nel suo territorio, furono trovate altre urne sepolcrali di terra cotta con i così detti "lumi eterni", e monete romane. In una di queste si trovò ancora un pezzo di grossa spada, o pugnale, che il tempo non aveva potuto ancora corrodere, ed alcune monete d'oro, in cui leggevasi il nome di qualcuno chiamato Cornelio [...]. Difatti l'interno di Cigliano trovasi appunto sopra un'elevazione di terreno, a guisa di un monticello, ora appena sensibile, in mezzo ad una estesa ed amena pianura [...]. Era Cigliano nel Medio Evo munito d'un castello, bastioni e torri, e posseduto in feudo da varie nobilissime famiglie, dai Vescovi di Vercelli, dalla famiglia Pansa, col titolo di signore, e poi con quello di marchese dalla famiglia Villa di Ferrara [...]

(Autogr. pp. 4. Tr. parz. Coll. ACV).

Torino S. Dalmazzo, 29 dicembre 1843. Carlo Vercellone a Luigi Bruzza.

(M) etilio

f. ovf

(M) essori

(C) ollegiu...

(ium) entarior (um)

portae

(Ve) rcellinae

(e) t. ioviae

(b) m

(lo) c. dat

ab

(p) ossessorib...

(vi) ci bardon...

Eccovi l'iscrizione che bramate, copiata a stampo, per fac simile. Se il mio carattere è inelegante e rozzo datene la colpa allo scalpellino che scritto così perché non sapeva far meglio. I supplementi che vedete scritti in carattere corsivo in margine sono fatti dal celebre Bugatti, dal quale la ricevette il Marini, e seppe che fu scoperta in Milano fra le ruine di S. Dionigi [...] (Autogr. p. 1. Tr. parz. Coll. ACV).

21. Sommo 1987, p. 410.

22. Bruzza 1844.

23. Romagnani 1987, p. 9.

24. Sulla questione si vedano, ad esempio, i saggi contenuti in Violante 1982.

25. Bruzza 1844, p. 18. Questo aspetto è sottolineato anche in Romagnani 1987, p. 10.

26. Bruzza 1844, p. 39.

27. Sommo 1982, p. 224.

28. Romagnani 1987, p. 10.

29. Colombo pubblicherà il materiale avuto dal Bruzza a spese dell'Istituto di Belle Arti nel 1883. Nel 1879 già aveva pubblicato le notizie sulla vita di Giovanni Francesco Bonomi, sulla scorta del testo dell'orazione del 1844, che aveva ricevuto dal Bruzza a quello scopo (Colombo 1879; Colombo 1883).

30. Bruzza 1846.

31. Colciago 1940, p. 31; Romagnani 1987, p. 12.

32. Colciago 1940, p. 19.

33. Romagnani 1987, p. 13.

34. L'espressione è tratta da una lettera del Bruzza al Vercellone del 21 maggio 1844: "se non fossero questi lontani conforti, troppo cadrebbe d'animo chi vive in una provincia dove gli studi non sono certo il primo allettamento degli animi" (Colciago 1940, p. 25).

35. Colciago 1940, p. 29.

36. Romagnani 1987, p. 13.

37. Romagnani 1987, p. 13.

38. A questo proposito si segnala l'accuratissimo elenco fornito dal Colciago (Colciago 1940, pp. 35-39).

39. Del volumetto, contente una breve premessa del Bruzza, furono stampate solo sedici copie per un disguido della tipografia (De Gaudenzi). Una di esse è nella Biblioteca Leone (Colciago 1940, p. 37). Il testo, per la sua notevole importanza, è stato ristampato in Sommo 1982, p. 28. Vi sono elencati molti dei sarcofagi vercellesi successivamente dispersi nelle campagne per servire da abbeveratoi. Bruzza perseguiva, quindi, continuamente il suo progetto di ricerca epigrafica.

40. Colciago 1940, p. 38.

41. Ibid. , p. 38.

42. Ibid. , p. 38.

43. Ibid. , p. 39.

44. Ibid. , p. 32.

45. Romagnani 1987.

46. La lettera è stata pubblicata, con omissioni circa il problema dei Gesuiti, dal Colciago 1940 (p. 33) e dal Romagnani 1987 (p. 17) che, al contrario, ne ha sottolineato il ruolo.

47. Colciago 1940, p. 33.

48. Romagnani 1987, pp. 18-20.

49. Colciago 1940, p. 34.

50. Ibid. , p. 42.

51. Ibid. , p. 42.

52. Faccio 1959, p. 9.

53. Colciago 1940, p. 43.

54. Ibid. , p. 43.

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CAPITOLO II

Un precursore [torna all'indice]

"Carissimo amico, sono ormai nove mesi che io sono in Napoli, e mi sono sempre astenuto dallo scrivervi, sebbene ne avessi motivo, perché avevo imposto a me stesso di trangugiarmi in silenzio le amarezze che la malignità di taluno mi procurò nel mio partir dal Piemonte [...]. Accenno a questo solamente per protestarvi che io non desidero affatto di più tornare in quel paese [...]. Mi costò assai caro, è vero, il sacrificio di vedermi tornare in nulla le fatiche continue di dodici anni di studi allora appunto che era per coglierne qualche frutto [...], e forse un giorno o l'altro getterò al fuoco tutti quei scartafacci che ho meco", così scriveva al Vercellone il 17 luglio 1854 un Padre Bruzza amareggiato, stanco e in cattiva salute 1. Domandò di essere trasferito, sempre a Napoli, al Collegio di S. Giuseppe a Pontecorvo, dove si rimise in forze e dove, tuttavia, disperava di poter riprendere gli studi intrapresi in Piemonte e si trovava "novizio" negli studi sulla Magna Grecia, benché avesse impiegato un anno nell'apprendimento del greco. Si riannodavano, intanto, le antiche relazioni, soprattutto con Giambattista De Rossi, che, dopo il Borghesi, era, secondo Bruzza, "il primo negli studi epigrafici", e si consolidavano nuove amicizie napoletane 2. Gli scrivevano anche da Torino Carlo Promis e da Vercelli Edoardo Mella e Sereno Caccianotti. Il sincero affetto di quest'ultimo è attestato da una lettera del 29 marzo 1855, nella quale affermava: "Veggo in natura li grandi alberi dalle burrasche atmosferiche, dai geli e dai fulmini essere divelti, spaccati e morti; ed in tante peripezie meteorologiche l'umile criptogama microscopica stà [...]. L'affetto mio per la R.V. è rappresentato nella criptogama e starà fermo tra le bufere e le avversità della vita"3. Proprio da tali fedelissimi corrispondenti, cui molti altri si aggiungeranno nel trentennio successivo, Padre Bruzza riceverà le notizie utili al compimento e all'aggiornamento delle proprie ricerche vercellesi in campo storico-artistico, archeologico ed epigrafico. Tali corrispondenze, come si vedrà, andranno a costituire un massiccio e articolato complesso archivistico, non comune per completezza e interesse, che prende l'avvio appunto dal 1855, anno in cui i rapporti con gli amici vercellesi vengono riallacciati dopo alcuni anni di assenza. Tuttavia le fonti principali sull'attività scientifica del barnabita restano le lettere al Vercellone.

Ritorno in Piemonte. [torna all'indice]

Nell'autunno del 1856 Bruzza fu destinato al Collegio "Carlo Alberto" di Moncalieri, con grande gioia di Costanzo Gazzera 4, che gli scrive: "Oh quante saranno e quanto lunghe le chiacchierate!", e con qualche rimpianto dello studioso per Napoli, i suoi musei e le sue biblioteche. Il soggiorno durerà undici anni, durante i quali riceverà spesso visite da Vercelli, città dove tornerà brevemente solo nel 1858 per recitare, in duomo, un "panegirico a S. Eusebio" 5. L'importanza del lavoro preparatorio compiuto negli archivi vercellesi e degli "scartafacci" che aveva prodotto, insieme con le frequenti notizie provenienti dai suoi corrispondenti, riportano Luigi Bruzza sulla via degli studi iniziati e forse mai interrotti, a giudicare dall'assiduità con cui il barnabita riceveva, tramite il Vercellone, le pubblicazioni archeologiche romane, segnatamente quelle del De Rossi. Durante il soggiorno a Moncalieri, salvo pochi contributi di argomento archeologico 6, che comportavano continue corse a Torino per le ricerche bibliografiche, l'attività del barnabita fu nuovamente rivolta agli artisti vercellesi. Due erano le opere, in preparazione ormai dal 1851, una generale e una su Gaudenzio Ferrari. Nel 1861 uscì, infatti, una monografia dedicata al Bazzi e più tardi, nel 1875, ne uscirà un'altra sul mosaicista Calandra 7. Dei lavori più importanti, sia per il loro continuo incompiuto perfezionamento, sia forse per le preponderanti "distrazioni" archeologiche, non fece nulla. Sappiamo solo che in un momento imprecisato, probabilmente nel 1875, il Bruzza cedette al giovane confratello Padre Colombo tutte le sue carte relative agli artisti vercellesi, incaricandolo di portare a compimento il loro ordinamento e la loro stesura e ritenendo certamente di evitare, così facendo, che tante fatiche, sue e di amici come il Caccianotti e il Mella, andassero perdute. I due volumi del Colombo uscirono nel 1881 e nel 1883 8, con risultato sostanzialmente positivo, ma raccogliendo anche qualche critica.Destino volle che il Bruzza si spegnesse proprio nel 1883, seguito solo sei mesi dopo dall'ancor giovane Padre Colombo.Partito da Moncalieri per Roma, nell'estate del 1867, per partecipare al Capitolo Generale dell'Ordine, in compagnia del suo rettore Padre Alessandro Teppa, Bruzza si ritrovò eletto Assistente Generale ed il rettore Proposto Generale 9.Iniziava in quell'anno, dopo il trasferimento a Roma, il periodo più fecondo degli studi, ormai decisamente indirizzati all'epigrafia e all'archeologia.

Roma e la formazione dell'archeologo. [torna all'indice]

Ripercorrendo l'excursus delle vicende biografiche e degli studi di Luigi Bruzza, segnatamente nel periodo romano, occorre mettere in luce alcuni degli aspetti salienti del suo lavoro che ne fanno un vero precursore e un maestro, non solamente per quanto attiene alla svolta fra archeologia antiquaria e archeologia come fonte di storia sociale, economica e di cultura materiale, ma anche per quanto riguarda gli studi di topografia antica e storico-territoriali e per gli aspetti di tutela e conservazione. Per la sua autonoma e particolare formazione, per il precoce interesse alla tutela del patrimonio storico, inteso globalmente, e per l'attenzione ad aspetti in quel tempo negletti della disciplina, egli fu certamente un caso del tutto particolare e in grado di influenzare i successivi progressi della ricerca e della disciplina cui appartenne 10.Che Luigi Bruzza sia da considerare un archeologo a pieno titolo, e non solo un epigrafista, anche se fu fra i più grandi epigrafisti italiani del secolo scorso, è rilevabile, oltre che dai suoi lavori, dalla sua citazione, insieme al Fiorelli, al Minervini e a molti altri archeologi militanti, nel tentativo di sintesi storica dell'archeologia italiana elaborato in occasione del primo cinquantennio dell'Italia unita, nel 1911 11.Se la memoria del barnabita fu in parte offuscata dall'ombra della grandezza del De Rossi, con il quale collaborò attivamente a Roma 12, ciò si deve anche certamente alla frammentarietà dei suoi lavori di ricerca, molti dei quali, e forse i più importanti 13, lasciati incompiuti e successivamente ripresi da altri dopo la sua scomparsa. L'indole modesta e schiva e la tendenza ad occuparsi di argomenti solitamente ritenuti marginali dagli studiosi del suo tempo fecero presto dimenticare la sua statura e, per contro, ne rimandarono una complessiva rivisitazione, per rivalutare soprattutto quei lavori che egli iniziò e che rimasero per molto tempo unici per le particolari classi di materiali trattate 14. E' inoltre indubbio che il suo contributo all'archeologia piemontese e vercellese non abbia giovato alla sua statura nazionale e internazionale, trattandosi per lo più di lavori "senza gloria" in territori provinciali, tuttora emarginati 15.Tuttavia il tempo, sotto questo punto di vista, è sicuramente buon giudice e il lavoro epigrafico sui materiali vercellesi 16, dopo le attenzioni che per i suoi primi studi locali ebbe il Borghesi 17, entusiasmò il Mommsen 18 e portò il Bruzza nella schiera dei migliori nomi dell'archeologia italiana della seconda metà dell'Ottocento.La strada percorsa dal barnabita, per giungere a maturare la propria specificità e per incidere profondamente nella formazione della disciplina cui si dedicò, fu lunga e complessa e, purtroppo, iniziata tardi, ma, come si è visto, con solidissime basi culturali.L'archeologo Bruzza, a Roma dal 1867, dopo la lunga parentesi di soggiorno a Napoli e a Moncalieri 19, per la fama che lo aveva preceduto si trovò in contatto con i maggiori studiosi italiani e stranieri. In quell'anno il barone Ercole Visconti scava all'Emporio; il Bruzza gli è assiduo e ne trae materia per i suoi studi sulla topografia del luogo e sulla storia del vicino Testaccio. Uno dei frutti scaturiti dai suoi primi anni di soggiorno a Roma sarà il lavoro sulle Iscrizioni dei marmi grezzi 20, per il quale egli è tuttora ricordato come precursore nello studio dei marchi di cava. Padre Bruzza si dedicò poi immediatamente ad una nuova raccolta di Marmi lunensi, per la quale ebbe la collaborazione del giovane Dressel, che nel 1881 visitò per conto del Bruzza le cave di Luni, traendone diciassette iscrizioni e pubblicando postuma la raccolta 21. Parallelamente Bruzza scheda i bolli anforacei, così abbondanti al Testaccio e nelle collezioni romane, che confluiranno nel CIL , sempre per mano del Dressel 22, molti anni dopo e con i doverosi riferimenti alle schede Bruzza. Ecco dunque uno dei campi d'azione in cui il barnabita si trova ad operare con forte anticipo sui tempi: i corpora. Una specifica attenzione alla forma e al contenuto dei bolli anforacei per lo studio della produzione e del commercio egli aveva già dimostrata con la sezione ad essi dedicata nello studio sulle Iscrizioni antiche vercellesi. A Roma questa particolare inclinazione ad occuparsi dei bolli e dei segni di cava, certo non molto seguita ai suoi tempi, porta il Bruzza ad elevarsi nel panorama degli studi contemporanei e a proiettarsi verso il futuro di una ricerca oggi quanto mai attuale. L'intuizione che i bolli e i segni sulle merci sarebbero stati uno dei principali veicoli per la conoscenza dell'economia antica è certamente fondamentale e il Bruzza fu lo studioso italiano che si occupò dell'argomento con maggiore assiduità sul finire del secolo scorso; se la sua vita fosse stata più lunga, avremmo forse oggi una tipologia "Dressel-Bruzza" per le anfore. Sono ormai unanimemente valutate sia l'importanza dello studio delle iscrizioni presenti sulle merci, sia la necessità di dare un nuovo impulso ai grandi corpora del secolo scorso, che potrebbero essere ripresi e ripensati alla luce dei notevoli progressi che le discipline archeologiche, storiche ed epigrafiche hanno compiuto in quest'ultima generazione di studi 23 e con l'aiuto dell'informatica, la cui diffusione nell'ambito delle discipline archeologiche si sta realizzando velocemente .Un altro campo di lavoro nel quale il Bruzza diede prova di precorrere i tempi fu la vasta ricerca storico-topografica avviata sul territorio tiburtino e rimasta per lo più inedita 24. Il Regesto di Tivoli comprendeva infatti nella sua stesura originaria una vastissima messe di dati topografici e archeologici, attualmente spesso non più reperibili, che ne fanno tuttora un lavoro prezioso 25. Il Bruzza, afflitto da continue nevralgie, trovò, percorrendo le zone di Tivoli e di Subiaco, un sollievo alla propria salute e un filone di studi storico topografici, di ascendenza cluveriana 26, che in qualche modo ricordano, per la puntigliosa opera di ricognizione del territorio, quei lavori sulla campagna romana di Thomas Ashby e della British School di Roma 26, nei quali, però, sarà impiegata ormai massicciamente la documentazione fotografica.

Le iscrizioni antiche vercellesi. [torna all'indice]

Il primo maturo frutto del soggiorno romano fu certamente il compimento del lavoro sulle iscrizioni vercellesi, interrotto più volte, mai completamente abbandonato e sempre pazientemente arricchito con le comunicazioni provenienti da Vercelli. Forti stimoli alla ripresa del progetto dovettero essere, oltre all'amato ambiente romano, naturale sede degli studi archeologici, la ricchezza delle biblioteche, la vicinanza dell'amico Vercellone, anch'egli Assistente Generale, e del De Rossi. Tuttavia a decidere il Padre Bruzza a porre definitivamente mano all'opera, e soprattutto a concluderla, sembrano concorrere fattori esterni, primo fra tutti l'interesse e le lodi del Mommsen. L'analisi della biografia dello studioso e di alcuni passi delle corrispondenze vercellesi permette di approfondire l'argomento. L'anno decisivo è il 1871. Sino dal 1863 era iniziato, sotto la direzione di Theodor Mommsen, il progetto del "Corpus Inscriptionum Latinarum", che prevedeva la raccolta sistematica di tutte le iscrizioni latine e la loro edizione sotto l'egida dell'Accademia di Prussia. Il volume quinto, Galliae Cisalpinae, dedicato all'Italia settentrionale, uscì a Berlino nel 1875. Per il Piemonte l'interlocutore del Mommsen era Carlo Promis, che accompagnò lo studioso tedesco nelle sue ricognizioni 27. Nell'aprile del 1871 il P. Bruzza inviava al Promis per il Mommsen, che si accingeva a visitare Vercelli, le indicazioni per rintracciare i più importanti nuclei di iscrizioni latine, facendo il nome di Sereno Caccianotti, che per la sua esperienza avrebbe potuto guidarli. Sappiamo dalle corrispondenze 28 che nel luglio dello stesso anno il volume era in corso di stampa a Roma, con il finanziamento del Caccianotti, nonostante una lettera del Promis proponesse la stampa a Torino per cura dell'Accademia delle Scienze 29. Le bozze, lette dal De Rossi e viste anche dal Caccianotti, furono inviate al Mommsen, che le usò per il Corpus e che, già nel 1872, ne dava un lusinghiero giudizio inviandole poi all'Henzen 30. Il lavoro era dunque entrato negli ambienti della cultura europea ancor prima che ne fosse completata la stampa e ne aveva ricevuto lodi incondizionate. L'edizione fu sicuramente conclusa, con l'aggiunta dell'introduzione, nel giugno del 1875 e il volume, "non destinato al commercio, eccetto un piccolo numero di copie" 31, venne distribuito ai corrispondenti e agli amici; trenta copie giunsero al Comune di Vercelli 32 , probabilmente coinvolto con la fondata speranza che accogliesse il progetto bruzziano per un Museo Lapidario. Il giudizio del Mommsen, formalizzato nell'edizione del Corpus, fu insolitamente positivo, perché formulato da uno studioso indubbiamente avaro di simili apprezzamenti: "Se le raccolte municipali d'iscrizioni fossero fatte con tale diligenza, fedeltà e dottrina, noi con questa nostra raccolta non faremmo che un duplicato. Non conosco altra opera che eguagli la raccolta bruzziana per completa indagine delle opere a stampa o manoscritte, municipale o generale in questa materia". Vercelli veniva così dotata di una delle più moderne e accurate raccolte epigrafiche territoriali e il P. Bruzza conquistava una posizione invidiabile fra gli epigrafisti europei e italiani. Nel luglio del 1875, sicuramente grazie anche all'oscura opera del Caccianotti e di altri amici vercellesi, il Museo Lapidario era ufficialmente istituito e al Bruzza erano concessi inconsueti onori: cittadinanza onoraria, medaglia d'oro e intitolazione, in vita, del Lapidario stesso. è probabile che la stampa delle "Iscrizioni" cadesse in un momento politico cittadino particolarmente favorevole a questo genere di cose. La questione è stata analizzata, traendone la conclusione che l'inaspettato onore ricaduto sulla città tramite il Bruzza favorisse un generale processo di riqualificazione in atto 32 e andasse dunque nella giusta direzione. A Novara, cui da poco era stato accorpato il territorio vercellese, stava accadendo qualcosa di simile circa il Lapidario e a Vercelli si rimpiangeva l'autonomia pre-unitaria, che si intendeva in qualche modo riacquistare. Il movente campanilistico poteva quindi giustificare qualche spesa, tanto più che, quasi certamente, all'inizio fu sottovalutato l'impegno economico e organizzativo necessario alla realizzazione del Museo. All'attività del Bruzza e del Caccianotti era, inoltre, già legata la nascita della Civica Biblioteca, risalente al 1860 33, e si era pure iniziata, ad opera dell'Istituto di Belle Arti, quella Pinacoteca a suo tempo invocata dal Bruzza 34 e dai suoi studi supportata; non era quindi mai venuto a mancare il legame culturale fra il barnabita e la città che ora gli concedeva la cittadinanza onoraria.L'istituzione del Lapidario impegnerà per vari anni il Comune, che, amministrato da un sindaco valente ed oculato quale fu il notaio Demetrio Ara, porterà a compimento il progetto bruzziano nella sede auspicata dal barnabita 35.

Gli ultimi anni e l'Archeologia Cristiana. [torna all'indice]

Una visita a Vercelli del Bruzza nell'agosto del 1877 è attestata dalle corrispondenze 36. Sappiamo solo che vide la raccolta Leone in compagnia del Caccianotti; è probabile che si sia spinto a Serravalle per vedervi la chiesetta di Naula e le sue iscrizioni ed è certo che abbia potuto vedere l'allestimento pressoché compiuto del "suo" Lapidario, discutendone con il Locarni. Fece inoltre visita alla famiglia del fratello a Genova, dove lo raggiunse il De Rossi, e fu sicuramente anche a Torino, dal Promis e dal Fabbretti 37. Di questo viaggio non sono rimaste molte tracce a Vercelli, dove Bruzza era tornato solo nel lontano 1858 per un brevissimo soggiorno, fatta eccezione per una nota nel diario di Camillo Leone, che conobbe il Bruzza proprio in quell'occasione per tramite del Caccianotti 38. Era sicuramente già in animo dello studioso la preparazione di un secondo volume dedicato alle iscrizioni vercellesi che si andavano scoprendo. Fra il 1877 e il 1880 le corrispondenze con Leone, Marocchino e Caccianotti sono indirizzate a questa nuova raccolta di materiali. "Non posso lodarmi abbastanza dell'amicizia e della cortesia dell' avv. Marocchino e del sig. Leone. Essi mi mandano disegnati e coloriti tutti gli oggetti antichi che il primo ha in custodia, e il secondo quelli della sua collezione. Ad ogni domanda mia corrispondono con una alacrità e diligenza che non può essere maggiore. Oh! perché costoro non hanno cominciato venti anni prima, che già si avrebbe qualche cosa più che un nucleo di Museo!". Così scriveva Bruzza al Caccianotti nell'ottobre del 1879 39, rivelando l'altro suo cruccio, quello del Museo Archeologico annesso al Lapidario, da realizzare ampliando il nucleo di materiali custoditi nella vetrina dell'Archivio. Una lettera del 1876, indirizzata ad un non meglio identificato amico, contiene il progetto del Museo: "Io ho pensato da molto tempo che sarebbe conveniente unire al Museo Lapidario una sala grande, che mi pare vi sia vicina, per radunarvi tutti questi oggetti che non sono lapidi. è vero che al presente non ve ne è bisogno, ma io penso che essendovi ora un luogo dove si possa radunare ciò che si trova, il Museo fra pochi anni si aumenterà, e l'esperienza mi insegna che certe cose conviene farle subito, finché dura un certo favore, e che se si differisce a farle non si fanno più in seguito. Se Locarni domandasse ora quella sala per collocarvi le anfore, e farvi fare una scanzia a vetri per gli oggetti minori e di vario genere, l'otterrebbe; col tempo non so se si potesse più avere. Per la cura e custodia del Museo il Municipio dovrebbe deputare una persona che avesse almeno naturalmente passione per le cose antiche. Allora questa metterebbe del suo amor proprio per farlo accrescere, cercando di avere dei doni, e vegliando che trovandosi qualche cosa non andasse dispersa. Io prego lei e Locarni a considerare questo consiglio, che a me pare conveniente se si vuole che una opera così bene cominciata non resti morta e stazionaria, ma serva di nucleo ad un futuro sviluppo" 40. La sala, quella così detta del "piccolo studio", non venne concessa o, più probabilmente, non venne domandata, e le anfore, come si vedrà, rimasero sparse nel chiostro o nei sarcofagi sino al 1900. Il concetto di museo proposto dal Bruzza, proiettato verso il futuro della ricerca e della tutela, veniva quindi già travisato sul nascere e limitato dalle ristrettezze economiche e intellettuali dell'amministrazione. Il progetto del secondo volume di iscrizioni vercellesi era ancora nelle intenzioni del Bruzza a pochi giorni dalla morte, insieme con la stampa del "Regesto" della Chiesa di Tivoli, che lo aveva occupato per cinque anni. Con le gambe gonfie per un "umore erpetico che minaccia estendersi ad altre parti", dopo la caduta in un fosso nel dicembre 1882, incidente occorsogli visitando con la Commissione di Sacra Archeologia gli scavi della cripta di S. Ippolito, Bruzza continuava a lavorare, con "anzi più chiara la testa", lamentando di non ritenere possibile di avere vita sufficiente per portare a termine le opere iniziate 41. Otto anni dopo Ermanno Ferrero dava alle stampe quanto Bruzza aveva raccolto per il secondo volume, "primo supplemento" con il quale Bruzza intendeva ringraziare per gli onori ricevuti a Vercelli 42. L'incidente che fece del Bruzza un "martire delle catacombe" rivela, oltre alla sua notevole vitalità a settant'anni passati, la sua grande passione per l'archeologia cristiana, che egli aveva tenuta a battesimo con il De Rossi, formandola come disciplina autonoma attraverso la "Società Romana di Archeologia Cristiana", della quale il Bruzza, che aveva messo a disposizione del sodalizio una sala in S. Carlo ai Catinari, ebbe la presidenza dal De Rossi. Il rapporto fra i due studiosi era di antica data, la loro conoscenza epistolare, tramite il Padre Vercellone, trova radici dal 1847, quando il Bruzza era ancora a Vercelli, e si intensificò successivamente con il soggiorno napoletano, divenendo a Roma amicizia strettissima 43. Certo non fu Bruzza il fondatore della "Società", ma egli ne favorì certamente la nascita e la crescita sino alle celebrazioni del 1882, che consacrarono l'archeologia cristiana come disciplina indipendente 44. Molti furono i contributi di carattere organizzativo profusi dal Bruzza in favore dell'amico e del sodalizio e molti anche i contributi scientifici del barnabita alle adunanze, che raccoglievano, sempre più numerosi, studiosi italiani e stranieri. Ma quasi nessun lavoro storico sulla disciplina nomina il Bruzza, che indubbiamente ebbe un ruolo secondario e volutamente schivo all'ombra del De Rossi, da lui ritenuto "maestro". In effetti non fu mai l'archeologia cristiana il suo vero campo di studi, anche se fu incaricato di far parte della "Commissione Pontificia" e seguì gli scavi delle catacombe 45. Fu semmai Bruzza un'utile entratura per il De Rossi nell'ambiente vaticano e un collaboratore sincero, leale ed entusiasta, palumbe sine felle, puro corde et simplici.

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NOTE

1. Colciago 1940, p. 45.

2. Ibid., p. 47; Parise 1987, p. 465.

3. Colciago 1940, p. 49.

4. Sui rapporti fra Bruzza e Gazzera si veda l'esauriente saggio di Levi Momigliano 1987.

5. Colciago 1940, p. 51.

6. Ibid., p. 55.

7. Ibid., p. 61.

8. Ibid., p. 65.

9. Ibid. p. 66.

10. Per questa parte del capitolo ho ampiamente attinto, con poche variazioni, al testo del mio contributo, dal titolo appunto "Un precursore: il R. P. Bruzza" (Sommo 1993), al Colloquio di Bourg-en-Bresse del settembre 1992, organizzato dal prof. Raymond Chevallier, presidente del Centro di ricerche Piganiol dell'Università di Tour, cui sono debitore per la sua cortesia e per aver voluto inserire il mio breve saggio in quella sede.

11. Gherardini 1912, p. 5.

12. Colciago 1938, p. 9; Colciago 1940, p. 127 sgg.; Pagano 1987.

13. Colciago 1940, pp. 86, 94, 110, ad es.

14. I lavori del Bruzza sui segni di cava dei marmi sono ancora oggi citati (Cfr. Susini 1982, p. 129, ad es.) e forse unico rimane il saggio sui campanelli inscritti (Cfr. Colciago 1940, p. 107).

15. Levi Momigliano 1987, p. 49 sottolinea l'isolamento del Bruzza nell'ambiente culturale piemontese e il carattere "apparentemente provinciale" delle sue ricerche.

16. Raccolto nel volume Bruzza 1874.

17. Bruzza 1846 contiene una lettera del Borghesi al Bruzza.

18. Il Mommsen diede un raro e lusinghiero giudizio del lavoro epigrafico del Bruzza, che vide prima della stampa e utilizzò per il volume V del CIL-Corpus Inscriptionum Latinarum (Cfr. Roda 1987, p. 257; Manino 1987, p. 101).

19. Pochissimi i lavori del Bruzza in questo periodo, come abbiamo visto, ma continui i contatti e le letture.

20. Bruzza 1870 (Cfr. Balil 1987).

21. Dressel 1884 (Cfr. Dolci 1987).

22. CIL volume XV, edito dal Dressel (Cfr. Colciago 1940, p. 105).

23. Si veda sul recente Convegno presso l'Accademia Americana di Roma Manacorda 1992.

24. Paci 1987, p. 232.

25. Dall'analisi del materiale inedito effettuata dal Paci risulterebbe che non tutti i dati sono confluiti nel CIL o nelle Inscriptiones Italiae del 1952 e che le carte Bruzza possono pertanto conservare utili documenti, soprattutto nei casi in cui le iscrizioni non siano più reperibili.

26. Si veda, su Filippo Cluverio e sul suo metodo di ricerca topografica, il recente contributo di Uggeri 1993.

27. Levi Momigliano 1987, p. 46 e nota 68 a p. 63.

28. Sono presenti vari accenni al volume in stampa e alle bozze nelle lettere del Caccianotti (si vedano ad es. i documenti n. 45, 46, 49 in questo stesso volume).

29. Colciago 1940, p. 70 nota 1.

30. Ibid., pp. 191 e 193.

31. Ibid., p. 178, lettere del Bruzza al De Rossi.

32. Si veda il documento n. 49 in questo stesso volume.

33. Ordano 1984.

34. La Pinacoteca dell'Istituto di Belle Arti, formata dal 1865 presso la casa Mariani, già Tizzoni. (Cfr. Berardi 1984, p. 41).

35. Bruzza 1874, pp. VI-VII dell'Introduzione, che sappiamo scritta alla fine del 1874, auspicava e caldeggiava la raccolta e conservazione dei marmi pubblicati. Alla pagina CXCV esplicitamente indicava il Comune come soggetto promotore di una maggiore diligenza nella conservazione e quale sede del lapidario "l'ampio e nobile chiostro di S. Andrea".

36. Riferimenti alla visita a Vercelli sono nell'epistolario Bruzza-Leone. Si vedano i documenti n. 63 nota 7, n. 81 nota 14, n. 83, in questo stesso volume.

37. Qualche traccia del soggiorno a Genova e a Torino del Bruzza è in una lettera del De Rossi dell'agosto 1877 (Colciago 1940, p. 164, XXXIII); la cognata del P. Bruzza è nominata, infine, in una lettera del dicembre dello stesso anno (Colciago 1940, p. 166, XXXVI).

38. Rosso 1987, p. 388.

39. Colciago 1940, pp. 74-75, nota 1. L'esistenza di un carteggio Bruzza presso gli eredi del Caccianotti, ancora alla fine del secolo, è attestata dalla biografia del Bruzza di Giulio Cesare Faccio, che "lesse queste lettere presso gli interessati". Purtroppo presso gli eredi, a Biandrate, come ebbi modo di sapere nel 1984, non è più traccia di questi documenti, che dovevano costituire un voluminoso archivio, il cui ritrovamento sarebbe tuttora di grande interesse anche per meglio delineare la figura del Caccianotti.

40. La lettera è conservata nel fondo Finazzi all'Archivio di Stato di Novara (Silengo 1987, p. 400).

41. Faccio 1884, p. 45 e p. 58, nota 38.

42. Colciago 1940, p. 76.

43. Ibid., p. 127, Pagano 1987.

44. Colciago 1940, p. 130. Il più importante e completo lavoro del Bruzza in tema di epigrafia cristiana è certamente costituito dal capitolo dedicato alle iscrizioni cristiane nel volume "Iscrizioni antiche vercellesi". La particolare attenzione del Bruzza per l'archeologia cristiana fu certo dovuta agli intensi e precoci contatti con il De Rossi e, per il Piemonte, con l'abate Costanzo Gazzera. Sull'epigrafia cristiana vercellese trattata dal Bruzza si veda anche il saggio del Sanders 1987.

45. Colciago 1940, p. 145.

 


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