La vicenda della cassa del Cardinal Bicchieri rappresenta appieno il grado di marginalità raggiunto dalla cultura vercellese di questi anni.

 

L'articolo de "Il Sole 24 Ore" del 2 dicembre 2001

Con il nostro commento del 2002

 

L'articolo di apertura della mostra

Con il nostro commento del 2005

 

Che la cultura vercellese si trovasse ad uno dei suoi minimi storici con l'attuale amministrazione ci sembra di averlo con rammarico dimostrato in varie occasioni. La vicenda della cassa che fu del cardinale fondatore di S. Andrea e che ne contenne le ossa costituisce un'ulteriore conferma sia di quanto poco la città sappia onorare le proprie memorie sia di quanto essa poco o nulla conti negli ambiti piemontesi. Tutta la vicenda della cassa, sebbene abbia inizio a Vercelli e sia alla città strettamente legata, passa ben alta sopra le nostre teste e, complice la Soprintendenza regionale competente, punta all'arricchimento del civico museo della capitale regionale senza che Vercelli ne abbia praticamente notizia. Non già, ritengo, perchè non siano disponibili a Vercelli tre miseri miliardi per acquisiure un pezzo unico al mondo, ma, purtroppo, perchè a nessuno qui pare che la cosa importi.

La gravità della situazione vercellese, che non ha riscontri in altre "città d'arte" del nord Italia, stà appunto in questa paradossale circostanza: l'isolamento, l'incuria, l'incompetenza, la mancanza di progetti in un settore che pure è definito "strategico" dai politici in quanto risorsa centrale della città per il suo futuro.

Se la cassa tornasse a far parte del patrimonio vercellese non sarebbe certo un'attrattiva di poco conto. Purtroppo il contesto della politica museale vercellese è puramente vegetativo, succube e marginale, tanto che non solo non siamo in grado di acquisire alcunché, innanzitutto perchè nessuno si occupa della valorizzazione del patrimonio cittadino, ma non siamo nemmeno in grado di programmare gli opportuni interventi per la conservazione di quanto già abbiamo. A tale segno si è giunti per non aver voluto, se non a parole, farsi carico di un settore che non paga ai fini elettorali e che tuttavia resta il motore strategico della ripresa di Vercelli, che lo vogliano o no i nostri "politici".

Inoltre una città che non è in grado di identificarsi con la propria storia e con le proprie memorie e non ne ha rispetto ritengo abbia ben poca strada da fare.

L'articolo che segue (da "Il Sole 24 ore" di domenica 2 dicembre 2001) è di un anno fa ma non risulta che a Vercelli si sia parlato della faccenda in alcun ambiente ufficiale.

Riportiamo inoltre il testo di un breve articolo di Edoardo Mella "La cassa già deposito delle ossa del cardinale Guala Bicheri illustrata da Edoardo Mella", Torino 1883.


 

La Stampa 17/12/2004

 

Consumatum est, avrebbe scritto Leone. La mostra è finita e lo scrigno Bicchieri è tornato ai legittimi proprietari a Torino. Ai Vercellesi non resta che sperare che la prossima volta lo scrigno limusino o il Bene Culturale di turno si fermi qui, dove è la sede naturale non solo dello scrigno ma di ogni altra opera legata così strettamente al territorio e alla Città. No, non è la politica del lamento, ma è proprio la politica del fare, o del non fare, che mi interessa in questo momento. Analizzando la vicenda dello scrigno, che ho avuto il "merito" di segnalare precocemente, nel suo svolgimento e conclusione, e al di là degli immancabili retorici discorsetti di prammatica, emerge una città rinunciataria e sconfitta proprio nel settore che a dire degli stessi Amministratori di ora e di sempre, proprio sulla Cultura dovrebbe puntare come ultima risorsa per il proprio futuro. Fiumi di parole sono state dette e scritte per occasioni elettorali e non sulla necessità di una svolta di Vercelli nella valorizzazione di risorse che, anche se non appare, sono cospicue e non seconde ad alcun centro piemontese, fatta eccezione forse per Torino.

Ma la realtà è assolutamente immobile.

Lo sfortunato esempio del prezioso scrigno ci deve far meditare appunto su di una realtà quotidinana che non ci è affatto benigna. Credo sia scontato che lo scrigno avrebbe potuto e dovuto avere degna collocazione in un Museo cittadino, Leone o Tesoro del Duomo poco importa, ma è stata offerta a Vercelli la possibilità di raggranellare la somma necessaria, magari anche con pubblica sottoscrizione e contributi vari di Banche e Fondazioni o con sponsorizzazioni d'immagine che avrebbero potuto essere proposte ad una o più Società vercellesi di peso? Non credo, e non lo sapremo forse mai. L'ineffabile Soprintendenza di turno, bloccato il bene all'espatrio e alla vendita, ne ha esercitato il diritto di prelazione mettendo in moto i circoli torinesi ben lieti di aggiudicarsi un pezzo "unico" a livello mondiale.

E noi? Ma che importa a Torino se Vercelli è stata definitivamente defraudata dell'eredità del Bicchieri e se un oggetto così intimamente legato alla nostra storia e ad una delle pagine più luminose della passata grandezza è finito altrove? Nulla. Assolutamente nulla.

In extremis, forse grazie al sottoscritto e a un'idea di Marco Reis poi trasformata in itinere, il gioiello medievale si è soffermato, costosa beffa, in mostra a Vercelli proprio là dove avrebbe dovuto trovare dimora definitiva per essere comunque l'oggetto di pertinenza ecclesiastica e se non fosse stato interpretato tout-court, in senso strettamente economico e non anche simbolico dagli eredi, l'omaggio fattone del Vescovo al Mella al termine dei restauri. Finanziati tuttavia, voglio e devo ricordare, dai Vercellesi attraverso pubblica sottoscrizione, appunto. Giuridicamente Vercelli non può accmpare alcun diritto, ma la Soprintendenza competente ha agito correttamente offrendo prima di tutto a Vercelli la possibilità di tornare in possesso del Bene? Non lo sappiamo e non sappiamo se sul tema si sia intrattenuta corrispondenza scritta.

Un poco più di senso civico hanno mostrato coloro che, grazie forse anche alle lacune procedurali sopra esposte, hanno preteso, ormai impotenti, la simbolica riparazione della mostra.

Capitolo comunque chiuso ma che richiederebbe alcune interviste ai protagonisti per chiarire meglio i lati in ombra della vicenda. La stampa cittadina, del resto, non scava volentieri nelle pieghe della città, anche per evitare spiacevoli inciampi.

Ma che dire dei Beni che sono ancora virtualmente in nostro possesso o che, custoditi dallo Stato in mancanza di altra idonea sede, sono momentaneamente altrove?

Non ho che l'imbarazzo delle scelta nell'indicarne alcuni che versano nel dimenticato e polveroso archivio del non fatto vercellese. In tema strettamente archeologico salta agli occhi di noi tutti, o dovrebbe saltare ai più attenti, il ventennale rovello del destino misterioso che avrà il sito dell'anfiteatro, o supposto tale. Questione più e più volte utilizzata per raggranellare voti "archeologici" nelle strette elettorali e poi regolarmente abbandonata e negletta ad ogni revisione, parziale, modificata o respinta, del piano urbano dell'Amministrazione di turno. Ma ancor più rovellosa e intricata appare l'altra questione urbanistico-archeologica: l'area archeologica del Brüt Fond, notevole porzione di domus con pavimentazione di primo secolo tuttora, per usare un eufemismo, area depressa.Era passata al Demanio nell'ottobre 2001 ma temo che la questione sia ora il punto d'accesso che deve essere trattato con la sfortunata Società proprietaria (sono passati altri quattro anni). Nelle more l'area è sempre più tristemente abbandonata e deteriorata.

Che dire poi dell'ingente materiale archeologico frutto dei ventennali scavi in città che si stratifica a Torino in depositi stracolmi? L'idea avanzata anni fa da chi scrive, nessuno (è proprio vero) è profeta in patria, di costituire magari in San Marco (altro spinoso problema) il Museo archeologico vercellese come continuum della storica e inalterabile esposizione collezionistico-municipale del Leone, non solo non è stata mai posta in qualsiasi ordine del giorno, ma non è proprio piaciuta ad alcuno dei politicanti locali, e senza processo e dibattito, risulta scartata.

Che verranno a vedere allora i turisti che avranno la fortuna di pernottare negli sfavillanti, ed alcuni nuovi fiammanti, grandi alberghi cittadini?

Certo il S. Andrea, certo la Pinacoteca ed anche il ciclo Gaudenziano e il Tesoro del Duomo, ma non certo lo scrigno del Bicchieri, nè l'anfiteatro, neppure la domus di S. Stefano piccenino, non San Marco restaurata, non la sala Tizzoni ormai nascosta dai cassonetti, e forse nemmeno il Centori, e mai, ma proprio mai a Vercelli potranno vedere costoro i preziosi trovamenti frutto degli scavi in città degli ultimi due decenni. Vedranno invece le nuovissime assurde insegne commerciali sulla facciata della "casa di S. Agabio" in via Cavour, vero ulteriore pugno nello stomaco dell'arredo urbano della sfortunata piazza Cavour.

Politica del fare o del non fare, appunto, non del lamento.

 

Vercelli ottobre 2005

Giovanni Sommo

archeovercelli.it

sommogiov@tiscali.it