Località fortificate
della
Provincia di Vercelli
(E)
I testi qui raccolti sono tratti dai volumi: Luoghi fortificati fra Dora Baltea, Sesia e Po. Atlante aerofotografico dell'architettura fortificata sopravvissuta e dei siti abbandonati. La presente edizione è liberamente scaricabile per uso privato, ogni altra utilizzazione a carattere pubblico, dell'intero testo o di parti di esso, comprese le illustrazioni, deve essere preventivamente autorizzata.
archeovercelli.it
Comune di Trino
Borgo nuovo di Trino [75]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, zona via S. Francesco e via S. Michele.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1100 (Panero 1985, p. 26).
Ben distinto dalla villa di Trino, sottoposta alla giurisdizione vescovile, il castrum qui dicitur burgum novum, era situato a nord della Stura, nel territorio della corte Auriola, posseduta dai marchesi di Monferrato e aquistata nel 1202 dal Comune di Vercelli. All'inizio del Settecento l'attuale chiesa di S. Francesco era ancora denominata S. Maria in castro, indicando l'appartenenza al borgo nuovo, del resto ricordata anche nel 1282 dalla denominazione sancta Maria de Burgonuovo (Panero 1979, p. 119). L'area di Trino fu lungamente contesa, sia dal Comune vercellese, sia dai marchesi di Monferrato, per la sua posizione che entrambi desideravano controllare. Nel 1210 il Comune di Vercelli costituì il borgo franco di Trino e nel 1214 venne definitivamente risolta la vertenza con i marchesi di Monferrato per i territori ceduti nel 1202. I marchesi ebbero l'investitura di Pontestura e un indennizzo di 3000 lire pavesi in cambio della rinuncia ad ogni pretesa su quanto essi avevano ceduto ai Vercellesi (Avonto 1980, p. 235).
Castelvecchio o Trino di sotto [75*]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, zona vicolo Sincero e via Lanza.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1155 (Panero 1985, p. 27).
Trino è località ricordata nell'elenco
delle pievi del secolo X, ma il riferimento è alla chiesa di S. Michele,
centro di un territorio che fu probabilmente densamente popolato in antico."Trino
di sotto", o villa, viene citata per la prima volta nel 1014 (Panero
1985, p. 23) in due diplomi di Enrico II, nei quali è fatto cenno
al la donazione di varie terre da parte dei marchesi di Monferrato, in Tridino
e nella corte Auriola, all'abbazia di Fruttuaria e alla confisca di beni
a due domini, Sigefredus e Ingelbertus de Tridino, fautori del deposto re
Arduino, per farne dono al vescovo di Vercelli Leone (Avonto 1980, p. 233).
Con un atto del 1155 il vescovo Uguccione concesse al marchese Guglielmo
di Monferrato l'investitura di quanto la Chiesa possedeva in castro et fundo
Tridini. è stato dimostrato dal Panero (Panero 1979, p. 117 sgg.)
che tale fortificazione e villa, di pertinenza vescovile, si trovava a sud
della Stura e non è da confondersi con Tridinum novum. La precisa
localizzazione è desumibile da un disegno della fine del secolo XVI,
nel quale il castello è denominato &laqno;Palazzo vecchio del signore»,
nella zona di vicolo Sincero e di via Lanza, un tempo chiamata ruta militum
(Panero 1979, p. 123, fig. 3).
Palazzo dei Paleologi [75**]
Tipo: dimora signorile.
Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, piazza Garibaldi.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: XIV-XV secolo in base agli elementi architettonici e decorativi.
L'assenza di elementi di fortificazione fanno del &laqno;castello» una semplice dimora signorile, priva di qualsiasi caratteristica difensiva. Il palazzo venne successivamente inglobato nelle fortificazioni cittadine del XVII secolo (Cavanna Manchovas 1984), a quest'ultima fase del complesso potrebbe essere attribuita la recente definizione di &laqno;castello».
S. Michele [76]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Trino, presso la chiesa di S. Michele, ad est dell'abitato di Trino.
Superficie: 3000 mq.
Attestazione: 1212 dai documenti (S. Michele 1989, p. 18), X-XI secolo, e forse anteriore, dai dati di scavo (Negro Ponzi Mancini 1991, p. 396).
L'interesse archeologico del sito di S. Michele e del recinto fortificato fu rivelato dagli studi e dai sondaggi di Silvino Borla degli anni '60 (Borla 1982). Se ne occupò successivamente l'Arslan in occasione del quarto Congresso di Antichità e d'Arte di Casale del 1969 (Arslan 1974), che poté datare il complesso, a mezzo di un apposito sondaggio stratigrafico e di opportuni confronti, fra il VII e il IX-X secolo. E' solo dalle campagne di scavo, iniziate nel 1980 e tuttora in corso, intraprese dall'Istituto di Archeologia Medievale dell'Università di Torino in accordo con le Soprintendenze Archeologica e ai Beni Architettonici del Piemonte, che il recinto e l'insediamento di S. Michele hanno potuto essere oggetto di un continuativo progetto di ricerca archeologica, i cui risultati permettono ora di inserire il sito in una, cronologicamente molto ampia, problematica storico territoriale, rilevando una sostanziale continuità di occupazione del luogo dall'epoca romana al Medioevo (Negro Ponzi Mancini 1991). Una prima fase insediativa è rappresentata dalla presenza di edifici di epoca romana e tardo antica (I-VI sec. d.C.), allineati lungo l'asse viario Ticinum-Augusta Taurinorum, con la costruzione di un ampio edificio a fronte porticata, forse già difeso da una cinta muraria di tipologia romano-bizantina. Questa fase appare sigillata da uno strato argilloso, depositato da fenomeni alluvionali. Successive frequentazioni in epoca longobarda e carolingia (VII-VIII secolo) sono attestate da laterizi datati col metodo della termoluminescenza e il sito presenta edifici con alzati in legno e forse una cappella, che pare rilevabile dalla traccia lasciata da un piccolo edificio scomparso. Nel IX-X secolo sorge un insediamento interamente in legno e una chiesa cimiteriale in muratura con sepolture interne ed esterne; questa fase appare chiusa da una distruzione radicale, forse da un evento bellico. Fra X e XI secolo l'area è occupata da un insediamento con varie attività produttive e botteghe e viene eretta una nuova e piú ampia chiesa. Fra XII e XIII secolo l'impianto viene ristrutturato con torri esterne ed un piccolo edificio autonomo a protezione dell'ingresso, vengono costruiti vani di abitazione e servizio, addossati al recinto nella zona nord est. Nel XIII secolo il sito è ormai denominato castellacium nei documenti, termine che ne indica la decadenza. Le funzioni plebane della chiesa passano a S. Maria di Trino (S. Michele 1989; Negro Ponzi Mancini 1991, pp. 398-399). Il recinto fortificato segue un leggero rialzo del terreno ed era in antico in parte contornato da zone acquitrinose. Il muro presenta regolari contrafforti all'interno, che dovevano reggere un cammino di ronda in legno. Nella fase piú recente appaiono le torri, il corpo di guardia all'ingresso e le abitazioni addossate al perimetro. Certamente il recinto di S. Michele rappresenta un tipo di fortificazione che, per la possibile origine tardo antica e per la particolare morfologia, mantenuta anche posteriormente, non trova finora confronti nell'area vercellese. Si tratta anche del primo caso di fortificazione che nel nostro territorio sia stata analizzata attraverso un ineccepibile e programmato intervento di scavo, con risultati di estremo interesse per la comprensione del fenomeno dell'incastellamento e delle dinamiche insediative locali fra Antichità e Medioevo.
Leri [77]
Tipo: castello.
Localizzazione: non precisabile.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1179 (Panero 1985, p. 27).
Il luogo è menzionato con il toponimo Aleram nel diploma di Ottone III del 999 e con quello di Alerh in uno di Federico Barbarossa del 1159. Nel 1179 la grangia venne acquistata dal monastero di S. Genuario, cui apparteneva già in gran parte. Nell'atto di quell'anno sono nominati il castrum e villa de loco Alerii (Giordano 1979, p. 94; Panero 1979, p. 153). Era dunque presente un centro fortificato, di cui piú oltre si perde memoria e del quale non esistono tracce visibili. Nel 1822 Leri fu acquistata dal marchese Michele Benso di Cavour, padre di Camillo, ed i Cavour trasformarono Leri in una grande azienda modello, probabilmente eliminando o riattando edifici piú antichi. Il sito potrebbe, pertanto, conservare un discreto interesse archeologico per la presenza dell'antica fortificazione, peraltro non localizzabile allo stato attuale delle conoscenze. Di qualche utilità potrebbe essere, a questo proposito, il confronto fra la situazione dei fabbricati dell'inizio del XIX secolo e l'attuale.
Darola [78]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Trino, nell'abitato della frazione Darola.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1457 (Ordano 1966).
Il toponimo di Darola ricorda quello di Auriola (Giordano 1979, p. 96) e potrebbe derivare dalla contrazione di un &laqno;Ad Auriolam», essendo il luogo prossimo ai confini settentrionali della corte omonima. Anche poco a nord di Leri è presente il toponimo della cascina Ariola (Sincero 1897, p. 57), fortemente evocativo a questo proposito, ma l'identificazione di Darola con Auriola è stata posta in dubbio con validi argomenti dai piú recenti studi (Panero 1979, p. 22, nota 21). In effetti non abbiamo notizie della località prima del XV secolo, ma è certo che una fortificazione vi fu eretta almeno verso la fine del XIV secolo, nel sito di una grangia dell'abbazia di Lucedio. Una scheda del Borla (Borla 1982, p. 95, n. 27) ricorda la presenza di abbondante laterizio di tipo &laqno;romano» nei terreni a sud est di Darola, detti magron, attestando l'esistenza di resti di fondazioni la cui datazione è, purtroppo, incerta. "Un tempo doveva essere una fortificazione rispettabile, come lascia trasparire un atto del 1457, con il quale il castrum Daroliae cum omnibus suis turribus, moenibus et fortiliciis venne consegnato a Ludovico di Savoia da Teodoro Paleologo, figlio di Giacomo marchese di Monferrato, da pochi mesi investito della commenda dell'abbazia di Lucedio" (Ordano 1985, p. 120). La torre superstite, datata alla fine del XIV secolo, unico resto visibile di quelle ampie fortificazioni, si trova all'interno della tenuta agricola, è a pianta quadrilatera e ancora ben conservata, con porta e pusterla dotate un tempo di ponte levatoio (Ordano 1966; Ordano 1985, p. 122; Avonto 1980, p. 241). Il luogo di Darola, salvo per il ventennio 1457-1477, durante il quale fu sottoposto ai Savoia, rimase sempre dipendenza dell'abbazia di Lucedio (Ordano 1985, p. 123). La reale estensione delle fortificazioni e della villa ci sono suggerite da alcuni microtoponimi ancora presenti nel 1821, nella cartografia approntata per la divisione dei beni della tenuta di Lucedio. In tale cabreo sono indicati i campi detti castello, prato del castello, dietro la villa, che dalla loro dislocazione fanno ritenere il nucleo antico dell'abitato situato a sud est dell'attuale, proprio nel sito preje magre o magron, segnalato dal Borla per gli affioramenti di abbondanti laterizi. Comparirebbe così il probabile sito del piú antico castello e della villa di Darola, forse ancora ben visibili nel 1457, anno nel quale le fortificazioni del luogo appaiono ben piú ampie e complesse, nell'atto menzionato, di quanto siano attualmente. Certamente la zona indicata dai microtoponimi riveste un certo interesse archeologico, nonostante le attività agricole possano aver compromesso gran parte delle emergenze e delle strutture superstiti.
Lucedio [79]
Tipo: monastero fortificato.
Localizzazione: Comune di Trino, frazione Lucedio, nel sito dell'attuale tenuta agricola.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: fortificazione non attestata, ma supposta da elementi indiziari.
L'abbazia di Lucedio fu fondata da Ranieri, marchese del Monferrato, che nel 1123 vi chiamò i Cistercensi, probabilmente in sostituzione dei Benedettini (Giordano 1979, p. 73). Il toponimo è già presente in una carta del 904 (Panero 1985, p. 17) e alcune tracce di occupazione di epoca romana (Borla 1982, 25, p. 92) fanno ritenere che il luogo fosse abitato anche prima della fondazione del monastero, così come in molti casi analoghi (Comba 1985, p. 372). Lucedio ebbe importanti donazioni dai marchesi del Monferrato, nel cui territorio sorgeva (Sincero 1897, p. 212; Giordano 1979, pp. 77-79), e la sua veloce espansione provocò ripetute controversie con la vicina abbazia di S. Genuario. Alle sei grange che costituivano la primitiva dotazione di Lucedio (Montarolo, Montarucco, Leri, Darola, Castelmerlino, Ramezzana) se ne aggiunsero molte altre, fra le quali Gazzo, Pobbietto, Palazzolo, Ronsecco, Sale, Bianzé (Giordano 1979, p. 82; Cavanna 1980), e l'abbazia assunse un ruolo fondamentale nella riorganizzazione agraria dell'ampia area boscosa che divideva un tempo l'alto dal basso Vercellese. La possibilità che l'abbazia fosse in antico fortificata, così come molte delle sue piú importanti grange, nelle quali la fortificazione poteva anche preesistere all'insediamento monastico, è puramente indiziaria. "Le attestazioni documentarie di castra monasterii appaiono però alquanto scarse rispetto alla diffusione che il fenomeno dovette avere nella realtà" (Settia 1984, p. 253). La questione si pone quindi come stimolo all'approfondimento delle conoscenze sugli insediamenti monastici del nostro territorio, con particolare riferimento alle strutture materiali di cui pochissimo ci è noto. Questi aspetti, raramente descritti dalle fonti coeve, sono di assai problematico chiarimento quando non esplicitamente menzionati con termini come castrum o villa, riconducibili alle strutture tipiche dell'insediamento rurale signorile, con le quali il monastero o la grangia spesso si identificano, come nei casi di Darola e Leri, ambedue grange di Lucedio situate a pochissima distanza dalla sede abbaziale. La casistica del rapporto fra monastero e castrum in Italia settentrionale è molto varia e permette di intravedere una realtà complessa, fino all'impossibilità di distinguere il ruolo prioritario dell'uno o dell'altro elemento (Settia 1984, p. 254), anche quando il monastero sorge su di un castello ormai in abbandono, come avviene alla fine dell'XI secolo in molte fondazioni cluniacensi. La situazione del territorio in esame, con i monasteri di Lenta, San Nazzaro, Breme e S. Genuario, nei quali la presenza di una fortificazione è comunque in vario modo attestata, mentre non lo è per i casi di Lucedio e Muleggio, pur non permettendo facili generalizzazioni, consente di valutare con attenzione particolare la possibilità che, anche solo per ragioni contingenti di sicurezza, la fortificazione si esprimesse indubbiamente con idonei fossati e recinti e forse anche, come nel documentato caso di San Nazzaro Sesia (Luoghi 1991, I, p. 123), coinvolgendo strutture architettoniche ecclesiastiche, come chiesa e campanile. Sia per Lucedio che per Muleggio è certamente ipotizzabile una qualche forma di fortificazione o di chiusura, anche se queste non sono esplicitamente menzionate dalle fonti, ma sotto questo punto di vista molto resta da fare e, dopo le radicali trasformazioni subìte dagli edifici superstiti, le ricerche possono svilupparsi con contributi decisivi soprattutto da parte dell'archeologia. A Lucedio il toponimo "porta" , conservato, in cartografie del XVIII e del XIX secolo, da alcuni appezzamenti adiacenti al monastero nella zona occidentale e meridionale, coincide con la posizione della trecentesca foresteria ora abbattuta (Borla 1982, 25, p. 92), segnalando la presenza di un elemento architettonico, spesso monumentale, tipico delle sedi monastiche racchiuse in recinto. L'impianto attuale conserva due corpi di fabbrica del XIII secolo, con parti della chiesa dedicata a S. Maria e il bel campanile, ma il complesso ha subìto notevoli rimaneggiamenti e guasti legati all'uso agricolo (Cavanna 1980, p. 266; Comoli Mandracci 1988, p. 71, fig. 53) che hanno obliterato strutture piú antiche e ampliato l'originario recinto nell'area a nord della roggia del mulino. Sono ancora distinguibili gli impianti della chiesa e del chiostro, dormitori e refettorio; cucina e magazzini sembrano collocabili a nord lungo il corso della roggia, dove era il mulino. Altri fabbricati lungo il lato occidentale dovevano ospitare, oltre all'ingresso, una corte piú piccola, destinata probabilmente alle famiglie dei massari e ai recinti per gli animali, così come avviene nelle grange meglio note (Comba 1985, pp. 372-377). La ricostruzione dell'impianto nelle sue varie fasi sarebbe auspicabile e dovrebbe avvenire attraverso una ricerca multidisciplinare complessiva di tipo soprattutto architettonico e archeologico, poiché il sito presenta un notevole interesse per la migliore conoscenza dell'insediamento monastico in territorio vercellese.
Auriola [80]
Tipo: castello.
Localizzazione: non precisabile.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 933 (Panero 1979, p. 21;1985, p. 26).
I re Ugo e Lotario donarono nel 933 cortem que nominatur Auriola ...cum castro et capellis... (Panero 1979, p. 21) agli Aleramici, che ebbero da allora dominio sulle terre comprese fra i corsi del Lamporo e della Stura, confini settentrionali e meridionali della corte. L'identificazione di Darola con l'antica Auriola, proposta dal Sincero (Sincero 1897, p. 56) ed accreditata in varia misura dall'Avonto e dall'Ordano (Avonto 1980, pp. 240-241; Ordano 1985, p. 122) per l'indubbia assonanza del toponimo, non soddisfa pienamente, essendo la località di Darola poco a nord del corso attuale del Lamporo (Panero 1979, p. 22, nota 21) e, pertanto, esterna agli antichi confini naturali della corte. Qualche dubbio può permanere su quale fosse, comunque, il reale corso del Lamporo nel X secolo, in una regione assai mutata dall'intensa attività agricola. Certo è che sia il toponimo Darola che quello di Leri ricordano rispettivamente Auriola e Aleram e rendono pressoché certa la localizzazione della corte in questa parte del Vercellese (Dionisotti 1896, p. 162; Ogliaro 1972, p. 55; Giordano 1979, p. 96; Borla 1982, p. 38; S. Michele 1989, pp. 18-19). Decisivi elementi per approfondire le ricerche della località scomparsa sono offerti dal Panero (Panero 1979, p. 22, nota 21), che ricorda l'esistenza di una chiesa di Sancti Martini de Cortorola in territorio trinese, attestata ancora nel 1220, e di un canale S. Martino che scorre ad est di Montarolo; ad essi si aggiungono, frutto di una ricerca complessiva condotta sul territorio trinese, l'inequivocabile toponimo Castellacium (XV sec., S. Michele 1989, f. 16, p. 56) situato a nord di Trino, non lontano dalla località ad Sanctum Martinum e presso una strata indicata dal toponimo ad stratam, la stessa, probabilmente, proveniente da Ad Septimum, in direzione di Vercelli. L'identificazione del castrum e dell'abitato di Auriola rimane dunque problematica, ma la coincidenza, quantomeno interessante, di tanti elementi provenienti da fonti diverse, porta a ritenere che si debbano approfondire le ricerche nella zona compresa fra la cascina Caluzzano ed il canale S. Martino, lungo la strada di origine romana che un tempo toccava Tres cerros ed il castello di quel luogo. Della corte si fa menzione ancora nel 1014 (Sincero 1897, p.57), successivamente, nelle lotte per il controllo del territorio da parte dei Vescovi e del Comune di Vercelli, e dopo la fondazione nel 1123, da parte di un Ranieri marchese di Monferrato, dell'abbazia di Lucedio sorta sul feudo denominato Auriola (Giordano 1979, p. 74), di essa si perdono le tracce. Auriola costituisce tuttora un interessante quesito in materia di topografia antica e un importante obiettivo per la ricerca storica e archeologica locale.
Comune di Pezzana
Pezzana [81]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Pezzana, nel centro abitato.
Superficie: 2000 mq sulla base delle sopravvivenze ottocentesche.
Attestazione: 1231 (Orsenigo 1909, p. 380; Panero 1985, p. 27).
Il toponimo di Pezzana deriverebbe dalla famiglia Pettia , cui fu concesso il fundus in epoca romana (Bruzza 1874, p. XCI) e il luogo, nominato per la prima volta nel 961 (Panero 1985, p. 19), ha restituito infatti notevoli tracce archeologiche (Viale 1971, p. 62; Bianco 1984, p. 29 sgg.). Il documento piú antico in cui si nomina il castello è un atto del 1231 (Orsenigo 1909, p. 380; Panero 1985, p. 27), in cui si cita la capella castri Pezana: la chiesa di S. Lorenzo che faceva parte del complesso. La lite, testimoniata da una pergamena databile fra il 1397 e il 1399 (Rosso 1980, p. 36), fra gli Avogadro e i Cagnoli-Centoris è di particolare interesse per la situazione dei diritti e della struttura interna della fortificazione, posseduta dalle due famiglie. I Cagnoli-Centoris protestavano per la costruzione, voluta dagli Avogadro all'interno del castello, di un fortilizio indipendente, "a guisa di rocchetta" , dominante il resto dell'edificio, e perchè, come protettori della Chiesa Romana in guerra, tale famiglia aveva ceduto in passato alle autorità ecclesiastiche il castello, pur avendo diritti solo per un terzo sul fortilizi. I feudatari ghibellini lamentavano inoltre di essere odiati dagli Avogadro in quanto amici e sostenitori dei Tizzoni. Nel 1399 la struttura resistette agli attacchi delle bande del condottiero Facino Cane; tre anni dopo però l'esercito visconteo riuscì ad occuparla e la incendiò (Cenisio 1957, p.101). Con il consolidamento dello Stato Piemontese nelle mani dei Savoia, gli Avogadro e i Cagnoli tornarono in possesso del feudo e del fortilizio che, come attesta una pergamena del 1431 (Rosso 1980, pp. 36-37), è in quell'epoca denominato &laqno;castellazzo» e pertanto probabilmente in disuso. Essa raccoglie sei quietanze inerenti fitti, arretrati di cinque anni, per case nel castello di Pezzana. La giurisdizione del feudo, all'estinzione del ramo degli Avogadro di Pezzana, passò agli Avogadro di Valdengo e di Collobiano. Nel 1620 il duca Carlo Emanuele investì direttamente con titolo comitale Agostino Siccardi da Pigna (Cenisio 1957, p.103). Nuove distruzioni inflitte dagli Spagnoli verso il 1650 accelerarono il processo di disintegrazione di questa antica roccaforte (Cenisio 1957, p. 102). Il corpo di fabbrica del castello è ancora visibile in una mappa del XIX secolo e sulle fondamenta della cappella castrense è sorta un'abitazione che conserva all'interno alcune parti dell'edificio preesistente (Rosso 1980, ill. a p. 208). Alcune strutture sotterranee sarebbero inoltre tuttora conservate nelle sottomurazioni dei fabbricati sorti nel sito del castello (Bianco 1984, p. 26), che conserva un interesse ormai soprattutto di tipo archeologico.
Tipo: fattoria fortificata.
Localizzazione: Comune di Pezzana, lungo la via per Prarolo.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: non attestata.
La cascina Crocetta (Bianco 1984, p. 26 e pp. 75-76),
a pianta rettangolare, presenta agli spigoli del lato settentrionale due
torri cilindriche, a base leggermente scarpata costruite in mattoni, la
cui datazione è da supporre molto tarda (XVII secolo almeno) Non
avendo alcun dato per escludere una possibile origine piú antica
delle strutture, la cui funzione semplicemente decorativa appare del resto
poco probabile (si veda ad es. Conti Tabarelli 1978, p. 146), si è
ritenuto di inserire anche questo esempio, probabilmente tardo, di fattoria
fortificata nel lavoro di censimento, proponendo la possibilità di
un futuro approfondimento delle documentazioni d'archivio e una piú
accurata analisi architettonica del manufatto, per chiarirne l'origine e
le trasformazioni.
Comune di Asigliano
Asigliano [83]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Asigliano, presso la chiesa parrocchiale.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 961-974 (Ordano 1985, p. 66);1182-1185 (Panero 1985, p. 27).
Il toponimo Acilianum, forse derivante dal nome del proprietario del fondo, Acilius, attorno al quale si sviluppò la corte, viene citato per la prima volta in un atto del vescovo di Vercelli Ingone, il quale fu stipulato in castro Axiliano (Ordano 1985, p. 66). Piú tardi la località compare nel diploma di Ottone III del 7 maggio 999, col quale l'imperatore conferma alla Chiesa eusebiana la corte di Asigliano. Di una fortificazione ad Asigliano si ha quindi notizia per la prima volta nel X secolo. Non certamente estraneo agli episodi bellici durante la guerra tra Giovanni del Monferrato e Galeazzo Visconti, questo antico castello viene ricordato in un atto dell'11 ottobre 1263 in occasione della liberazione di alcuni cittadini vercellesi delle famiglie Bondonni e Tizzoni, che erano tenuti come ostaggi nella città di Pavia per una discordia riguardante il castrum di Asigliano (Ordano1985, p. 67). Non è quindi da escludere che le due importanti famiglie vercellesi avessero giurisdizione in Asigliano. Il paese, particolarmente importante per il suo castello, fu sempre mal tollerato dai marchesi del Monferrato, che lo assalirono in piú occasioni, riuscendo ad espugnarlo nel 1217 (Ordano 1966). Il complesso fu devastato poi dalle truppe ghibelline, che ebbero il sopravvento su quelle guelfe, nel 1243; ritornò successivamente sotto il dominio dei marchesi del Monferrato, per poi passare definitivamente a casa Savoia verso il 1400. Tra il 1433 ed il 1438, Amedeo VIII fortificò il paese e restaurò il castello esistente, ma di queste fortificazioni non resta altra traccia che il muro sottostante la chiesa parrocchiale, con un moncone di torre cilindrica (Ordano 1966; Ordano 1985, p. 68, Conti 1977, p. 135). Il castello nel XVI secolo fu bersagliato dall'artiglieria dei soldati imperiali, che colpirono anche la chiesa parrocchiale di Maria SS. Assunta, costruita nel secolo XIII all'interno del perimetro fortificato (Ordano 1966). Ciò che restava nel secolo scorso delle fortificazioni è stato distrutto con molta probabilità durante i restauri della chiesa, culminati nel 1818 con l'erezione della facciata (Conti 1977, p. 177). L'area conserva un notevole interesse archeologico.
Comune di Prarolo
Prarolo [84]
Tipo: castello
Localizzazione: Comune di Prarolo, nel centro abitato.
Superficie: 2500 mq.
Attestazione: 1398 (Mandelli 1858, III, p.143).
La località, che ha restituito interessanti materiali archeologici di epoca romana (Viale 1971, p. 62), è menzionata per la prima volta nel 964 (Panero 1985, p. 19) e doveva già in quel tempo far parte, come corte, dei beni dell'antica abbazia vercellese di S. Stefano (Avonto 1980, p. 284). Il primo cenno del castello è in un documento datato 1398, in cui i monaci di S. Stefano si lamentavano per le spese sostenute in reconciliando castrum Pratarolii. Il motivo della costruzione del castello è tuttora controverso: l'Avonto e il Conti pensano sia dovuta alle necessità agricole coeve di protezione dei raccolti, come a Quinto e a S. Genuario, mentre il Sarasso (Sarasso 1952, p. 68) la collega all'inclusione del monastero di S. Stefano nella cittadella viscontea di Vercelli, per cui vi fu l'esigenza di trasferire in luogo piú tranquillo le attività dell'abbazia. L'Avonto preferisce all'ipotesi del Conti, secondo il quale le spese furono eseguite "per condurre a termine la costruzione del castello" (Conti 1977, p. 176), l'idea, riportata anche dal Cenisio (Cenisio 1957, p. 108), che esse siano imputabili alla "necessità di restaurare il fortilizio dopo le distruzioni arrecate proprio in quel tempo al Vercellese dalle lunghe guerre fra i Savoia e i Visconti" (Avonto 1980, p. 287). La fortificazione doveva dunque probabilmente preesistere. Nel 1462 l'abbazia fu eretta in commenda e quindi solo beneficiario delle rendite del possedimento divenne l'abate commendatario di Prarolo. Rivestì questa carica fra gli altri anche il cardinale Federico Borromeo, che attuò varie migliorie ai terreni in questa località. La giurisdizione dell'abbazia benedettina durò fino al 1801. Il castello, ridotto a tenuta agricola, fu infatti venduto all'Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli in quell'anno. Il Conti asserisce che non si ha notizia di &laqno;nessuna operazione bellica nel castello» (Conti 1977, p. 177), tuttavia è noto che nel giugno 1454 un esercito sforzesco lo assaltò e lo saccheggiò (Ordano 1985, p. 191). Inoltre da una stampa tedesca del XVII secolo, considerata fonte attendibile dal Conti, possiamo ricavare la notizia che il complesso fu incendiato dagli Spagnoli nel 1637 (Avonto 1980, p. 288). Il castello fu nuovamente occupato nel 1704 dagli Spagnoli durante l'ultimo assedio di Vercelli e nel 1859, allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza, dagli Austriaci. La costruzione svolse però soprattutto le funzioni di azienda agricola e di ricovero per difendere il bestiame e i raccolti dei contadini della zona. La prima impressione è che una parte del recinto fortificato sia stata abbattuta, ma in realtà essa non venne mai costruita, molto probabilmente perchè considerata opera inutile oltre che dispendiosa. L'analisi degli elementi architettonici mostra che la torre quadrangolare è preesistente al corpo di fabbrica occidentale e costituirebbe il residuo di una piú antica fortificazione (Ferraris 1992, p. 99). Il lato prospicente la piazza presenta agli angoli due torri cilindriche munite di apparato a sporgere. L'attuale ingresso si trova sul lato settentrionale; un tempo però esso si trovava dalla parte opposta, come ci segnala appunto la presenza della torre d'ingresso a pianta rettangolare, "con le caratteristiche torricelle che si elevano sopra le caditoie dei due angoli esterni" (Ordano 1966). L'interesse del complesso, adibito da secoli a fattoria, è tuttora notevole, sia dal punto di vista architettonico che archeologico.
Vercelli [85]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Vercelli, nell'area nord orientale del centro storico.
Superficie: 6000 mq.
Attestazione: 1206 (Panero 1985, p. 27).
Era opinione del Faccio (Faccio 1926, p. 39) che il castellacium citra Sarvum, citato in un documento del 1206, fosse il residuo di una piú antica fortificazione situata all'interno della Corte Regia. Nel 1290, sulle rovine preesistenti fu edificato da Matteo Visconti l'attuale castello, che conserva, nonostante le riedificazioni dovute ai Savoia e i piú recenti restauri, l'impianto quadrangolare originario, con torri quadrate agli angoli (Chicco 1941, p. 14; Conti 1977, p. 66; Avonto 1980, p. 52; Ordano 1985, p. 25). Quantunque sia incerta la presenza di resti piú antichi nel sito occupato dal castello visconteo, assai forzata appare l'ipotesi che la forma irregolare dell'impianto sia da ascriversi esclusivamente alla presenza della chiesa di S. Stefano de civitate, situata poco lungi dal lato occidentale (Amoretti 1991). Infatti la pianta del nuovo castello fu influenzata certamente dall'insieme delle preesistenze del tessuto urbano (così come potrebbe essere avvenuto al castello Belpavone di Maccastrona: Conti Hybsch Vincenti 1990, p. 65), segnatamente dalle antiche fortificazioni forse ivi esistenti e dalla disponibilità dei terreni liberi, ma non certo dalla presenza di una chiesetta che poteva essere inglobata. Per costruire la cittadella, infatti, gli stessi Visconti demolirono, qualche decennio piú tardi, fra il 1368 e il 1372, gran parte dell'antico monastero benedettino di S. Stefano, nell'area meridionale della città (Avonto 1980, p. 51). Una notevole influenza sulla pianta del castello fu invece certamente esercitata dalle preesistenti mura comunali, alle quali la fortificazione venne addossata e collegata. La torre di nord est sorgeva sulla linea delle mura urbane e la torre piú esterna di sud est servì probabilmente a raccordare il castello all'esiguo spazio triangolare esistente fra le mura urbane e la struttura interna recintata. Lungo questo lato orientale era pure presente una bassa torre, ora non piú visibile, notata dal Chicco (Chicco 1941, p. 14) e riscontrabile nella tarsia cinquecentesca del coro ligneo di S. Andrea (Capellino 1989, tav. 11), realizzato dopo il 1511, nella quale è raffigurato in modo alquanto realistico il castello di Vercelli, visto dal lato orientale. La fedeltà del disegno conferma la presenza di una doppia cortina fra le due torri di levante, la piú esterna delle quali si collega alle mura urbane. Tale situazione è ancora visibile nel complesso progetto di ristrutturazione del Valperga datato 1668, dove è assai dettagliatamente sovrapposta ad una pianta di progetto a colori, non realizzata, una pianta dell'esistente e di un tratto di mura urbane. Gli ingressi erano tre, serviti da ponti levatoi, essendo il castello circondato su tre lati da un ampio fossato: uno, attualmente ancora in uso, sul lato meridionale, un altro, ora murato, sul lato di ponente, e da ultimo un piccolo ingresso nell'angolo sud orientale (Ordano 1985, p. 25), che dava con ogni probabilità accesso alla strettoia fra le mura urbane e il recinto del castello. Addossate al lato di ponente e a quello meridionale erano, prima delle ricostruzioni ed ampliamenti posteriori al XVII secolo, alcuni fabbricati, fra i quali una cappella castrense, un palatium ed un corpo di guardia, ancora distinguibili nella veduta cinquecentesca. Posteriormente la pianta interna venne radicalmente ristrutturata con la costruzione di corpi di fabbrica aderenti ai lati del quadrilatero, con eccezione per quello settentrionale, e con l'inserimento, piú recente, della grande struttura meridionale, occupante buona parte dell'antica corte. Le vicende del monumento, che ospitò dapprima i podestà viscontei fino al 1427, anno in cui Filippo Maria Visconti cedette Vercelli ad Amedeo VIII di Savoia, poi gli stessi duchi, che ne fecero la loro residenza temporanea, ed infine i governatori della città, sono ampiamente analizzate negli studi locali a partire dal lavoro del Chicco (Chicco 1941). Ciò che in questa sede ci preme sottolineare è l'interesse del monumento, sia pure pesantemente snaturato, sia sotto il profilo architettonico che archeologico. Non va dimenticato infatti che qualsiasi sia la futura destinazione del complesso, ogni progetto di riattamento dovrà tener conto delle esigenze di lettura storica e archeologica. L'interesse del castello visconteo vercellese, anche in riferimento alla storia della città, è tuttora notevole ed i ritrovamenti archeologici del secolo scorso nel fossato a nord (Sommo 1990, pp. 156-157) permettono di ipotizzare l'effettiva presenza nell'area di notevoli resti antichi, fors'anche legati alla domus di S. Stefano. Non trascurabile infine l'interesse della lettura delle complesse fasi architettoniche attraversate dalle strutture in elevato, da operarsi in parallelo ad eventuali lavori di riattamento, per una documentazione complessiva delle fasi costruttive ed una ricostruzione cronologica dell'evoluzione del monumento.
Muleggio [86]
Tipo: monastero fortificato.
Localizzazione: Comune di Vercelli, cascina S. Benedetto.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: fortificazione non attestata, ma supposta da elementi indiziari.
Il monastero di S. Pietro, successivamente di S. Benedetto di Muleggio, risulta fondato nel 1083, mentre una località con questo nome appare per la prima volta nel 1102 (Panero 1985, p. 18). Ai Benedettini neri succedettero i Vallombrosani, che appaiono in possesso del monastero nel 1230 (Sella 1917, III). L'abbazia ebbe il periodo di massima prosperità fra XII e XIII secolo, attraverso il possesso di molti beni terrieri, soprattutto a Selve, dove ebbe signoria sul castello (Mandelli 1858, III, p. 151). Decaduto e diroccato a causa delle continue guerre, il monastero venne restaurato e riedificato nel 1547 (Orsenigo 1909, p. 116). Dei fabbricati antichi è attualmente ancora visibile l'abside della chiesa, di struttura romanica, alla quale sono addossati edifici rustici, al centro di una corte rurale di impianto quadrilatero. Non abbiamo alcun indizio dell'antica conformazione dei fabbricati dell'abbazia, ma in modo del tutto analogo e per le stesse considerazioni fatte per il caso di Lucedio, pensiamo ipotizzabile una qualche forma di recinzione difensiva, trattandosi di una fondazione monastica sorta nelle campagne, lontano da ogni possibile protezione. L'impianto dell'attuale fabbricato agricolo, che non è escluso possa ricalcare in parte un antico perimetro, e il fatto che presso l'abbazia fosse presente un abitato o villa dipendente, fanno ritenere che i fabbricati del monastero possano avere svolto una funzione difensiva per abitanti e raccolti, quantunque non attestata dai documenti. Il sito conserva un notevole interesse architettonico e archeologico.
Montonero [87]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Vercelli, frazione Montonero, nell'abitato.
Superficie: 2500 mq.
Attestazione: metà secolo XII-inizio XIII (Ordano 1966).
Il luogo di "Montonero vecchia" costituiva una corticella dipendente dalla Corte Regia di Vercelli, che nel 945 il vescovo Attone donò ai canonici vercellesi (Ordano 1966). "Montonero nuova" è documentata dal 1151 (Panero 1985, p. 18) ed il castello, nella sua forma primitiva, è datato alla metà del XII secolo (Ordano 1966). L'Ordano ritiene che la fortificazione, politicamente sempre sotto la giurisdizione di Vercelli, sia da inquadrare nella "cintura" di castelli che il Comune si era costituita per controllare tutte le strade di accesso alla città, anche se il castello di Montonero fu fatto costruire, con ogni probabilità, dai canonici di S. Eusebio (Ordano 1985, p. 177). La pianta del perimetro primitivo doveva essere quadrilatera con ingresso sul lato settentrionale, protetto da una massiccia torre quadrata. Successive modifiche portarono alla creazione del fossato e allo spostamento dell'ingresso sul lato occidentale del perimetro. Al XV secolo sono fatte risalire le torri, una quadrata e l'altra circolare, fiancheggianti il nuovo ingresso, che costituisce un interessante particolare costruttivo (Ordano 1966; Conti 1977, pp. 85-86; Ordano 1985, pp. 177-178). In epoca posteriore sono stati rialzati i muri di cinta, inglobando i merli a coda di rondine. I resti di una torre circolare, adibiti a ghiacciaia, occupano l'angolo sud orientale del recinto e sono attribuibili ad una fase intermedia fra l'antico e il piú recente impianto rettangolare. All'interno del cortile è visibile una colonna del porticato con capitello originale. Nonostante i rifacimenti e la conversione dei fabbricati ad uso agricolo, il complesso ha un rilevante interesse architettonico e meriterebbe di essere meglio valorizzato. L'area conserva, inoltre, un notevole interesse archeologico.
Larizzate [88]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Vercelli, frazione Larizzate, nell'abitato.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1201 (Panero 1985, p. 27).
La località, anticamente detta anche Calliniascum, e già parrocchia nel secolo X (Orsenigo 1909, p. 257), è menzionata con il toponimo Larizzate in un documento del 1031 (Panero 1985, p. 17). Il suo castello, attestato dal 1201, doveva essere uno dei piú antichi e importanti della zona, per la posizione lungo la strada per il Monferrato e per la vicinanza a Vercelli (Ordano 1966). Da documenti della prima metà del XIII secolo si rileva il caratteristico frazionamento del castello in due parti, una possedimento laico, l'altra possesso ecclesiastico dei Benedettini dipendenti dall'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria. La porzione del castello di proprietà degli Avogadro fu acquistata all'inizio del Duecento dalla famiglia Bondonni, la quale nel 1227 la vendette all'Ospedale S. Andrea (Ordano 1985, p. 149). Il resto del castello fu commenda secolare dei monaci benedettini fino all'anno1230 circa, quando per opera del cardinale Guala Bicchieri fu ceduta all'Ospedale Maggiore di Vercelli (Orsenigo 1909, p. 258). L'aspetto originario del castello è andato del tutto perduto. Già nel 1416 il commissario del duca di Milano concedeva all'Ospedale di S. Andrea la facoltà di refortificandi et reparandi... castrum Larizzate. Poi verso la metà del secolo XV il frate Giacomo Avogadro di Casanova, amministratore dell'ente, ricostruì il castello, dotandolo di sei torri e ponte levatoio. Oggi dell'edificio non resta che qualche rudere, qualche tratto di muro e due torri, di cui una rimaneggiata in epoche successive. L'interesse del sito è quindi ormai soprattutto di tipo archeologico.
Castellacium Casae Dei - Cadè [89]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Vercelli, frazione Brarola, cascina Cadè.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1258 (Mandelli 1857, II, p. 267).
Fra i borghi franchi del Comune di Vercelli uno dei meno ricordati è certamente quello di Peronasca (odierna Pernasca), di cui si ha traccia negli Statuti del Comune. Un documento del 1258, conservato presso l'Archivio dell'Ospedale Maggiore di Vercelli, e citato dal Mandelli, riporta i confini territoriali del borgo, compresi fra Vinzaglio e Torrione. Fra questi compare il castellacium Casae Dei, toponimo attualmente conservato nella forma Cadé e attribuito ad un cascinale (Panero 1985, p. 14). Fra le disposizioni degli Statuti è presente una garanzia di conservazione dei diritti dei già signori di Peronasca nei confronti del comune e uomini di Bulgaro (Mandelli 1857, II, p. 257), dalla quale si deduce che la fortificazione richiamata nel documento col termine castellacium, in disuso quindi e situata ai confini del territorio, poteva essere stata di pertinenza dei domini di Peronasca, che detenevano diritti anche su Bulgaro. Quale relazione esista fra il detto castellacium e l'ospedale della Casa di Dio, situato in corrispondenza del ponte sulla Gamarra, fondato intorno al 1208 (Cassetti 1980, p. 31), e trasferito nel 1233 a S. Giovanni della Varola (Cassetti 1980, p. 34), non è possibile stabilire con certezza. è invece possibile che vi sia relazione fra lo spostamento di sede del monastero (1233), causato da &laqno;difficili condizioni ambientali» , e l'abbandono della fortificazione, documentato dal toponimo pochi decenni piú tardi. Sembra da escludere, infine, l'identificazione del castellacium con il monastero stesso; una bolla di Papa Gregorio IX del 1231 confermava infatti i diritti delle monache sul monastero e sulle sue pertinenze e sottolineava la proibizione a chiunque di esigere decime dalle terre dell'ospedale (Cassetti 1980, p. 33), segno probabile di conflitti di competenza con i domini loci. Il sito della fortificazione, così come quello dell'ospedale, non è attualmente identificabile se non genericamente con l'area della cascina Cadè. L'interesse dell'attestazione è da ritenersi, quindi, esclusivamente di tipo archeologico.
Comune di Lignana
Lignana [111]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Lignana, nel centro abitato.
Superficie: 1600 mq.
Attestazione: 1417 (Ordano 1966).
Del luogo è fatta menzione già nel 1034 (Panero1985, p.17); del castello la prima notizia risale solo al 1417, quando i Corradi, che la leggenda vuole avessero il feudo dalla fondazione del paese, dichiararono fedeltà a Filippo Maria Visconti. Il castello, certamente preesistente all'attestazione, ha subìto numerose trasformazioni ed è ora adibito ad uso agricolo, solo la torre d'ingresso, con le caditoie e le feritoie per la manovra dei due ponti levatoi, per la porta carraia e la pusterla, conserva le proprie caratteristiche architettoniche, nonostante la sopraelevazione che la deturpa. L'estensione del primitivo complesso è ancora rilevabile dalle basi scarpate dei muri, sulle quali furono erette le ricostruzioni (Ordano 1985, p. 162; Conti 1977, p. 162). Lo stato di conservazione del castello non è soddisfacente e le recenti costruzioni, che vi si sono addossate, contribuiscono alla generale dequalificazione degli elementi sopravvissuti.
Casalrosso [90]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Lignana, non precisabile.
Superficie: non determinabile.
Attestazione: 1173 (Panero 1985, p. 27).
Casalrosso è presente in un documento del 964 (Panero 1985, p. 14), ma del castrum è fatta menzione per la prima volta solo nel 1173 (ACV, I, CCXCV, p. 338), insieme con la villa. Del castello nulla è piú visibile, né è conosciuta esattamente la sua collocazione. I documenti successivi sembrano chiarire meglio la localizzazione del sito e forniscono forse qualche indicazione sulla sua ampiezza. In un atto del 1177 (ACV, II, CCCXLIX, p. 45) leggiamo: primum sedimen tenet Otobonus Gratacellum, ab una parte coheret ei Albertus de putheo, ab alia fossatum castelli de Casalo Russo, a tertia via. Aliud sedimen tenet Ferraria, coheret ei ab una parte ecclesie Sancti Salvatori de Casalo Russo, ab alia Paganus Pancagnorius, a tertia fossatum, a quarta via; e piú oltre: in castello de Casalo est una petia de terra cum arboribus fructuum super se habente, cui coheret ab una parte heredes Tiçonis; ed infine: In capite ville... riporta altre coerenze, dandoci la sensazione che i sedimi citati prima fossero in villa. Queste coerenze rappresentano l'unica indicazione in nostro possesso per localizzare il castello, che apparirebbe dotato di fossato e contornato da sedimi confinanti con la via, da identificarsi probabilmente con l'attuale strada comunale proveniente da Lignana e con la chiesa di San Salvatore, tuttora esistente, ma ampliata e rifatta nel 1815 (Orsenigo 1909, p. 257), o con terreni ad essa adiacenti. I precisi rapporti fra le coerenze tenderebbero a collocare il castello in un'area compresa fra la via attuale, la chiesa e il cavo della fontana a nord, che con ogni probabilità alimentava il fossato, in un'area quindi piuttosto ampia dell'abitato situata a nord est dello stesso. La presenza di un frutteto all'interno del castello potrebbe richiamare un tipo di recinto con abitazioni e coltivi all'interno, simile a quello che troviamo ad esempio a Caresana o a Rado, dove era pure presente la rocca o il dongione. Il fatto che si nominino eredi dei Tizzoni all'interno della fortificazione fa inoltre presumere che un ramo di questa importante famiglia avesse o avesse avuto diritti sul castello o su parti di esso. L'antichità della chiesa (1156, Orsenigo 1909, p. 256) e dell'attestazione del castrum e l'assenza di strutture visibili ad esso riferibili fanno sì che l'interesse del sito sia ormai unicamente di tipo archeologico.
Comune di Sali
Sali [91]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Sali, nel centro abitato.
Superficie: 3000 mq.
Attestazione: 1268 (Panero 1985, p.27).
Sali è citata per la prima volta in un documento del 1178 (Panero 1985, p. 20). Poco importante dal punto di vista storico e militare, la località ed il castello di Sali trovano scarsi riferimenti nei testi e nei documenti d'archivio, andati questi ultimi in gran parte perduti (Avonto 1980, p.175). L'origine del toponimo Sale è nella voce longobarda Sala, ovvero corticella, casa signorile di campagna con annessi fabbricati rurali (Avonto 1980, p. 175). Prima del XIII secolo la località di Sali non viene nominata nei diplomi imperiali, anche se, secondo il Casalis, il villaggio di Sali dovette far parte di una foresta, donata con diploma imperiale al vescovo di Vercelli Leone nel 999 (Avonto 1980, p. 175). Nel XIII secolo è attestata l'appartenenza all'abbazia di San Benedetto di Muleggio di numerosi beni fondiari nel territorio di Sali e, secondo un atto del dicembre 1268, essa possedeva un terreno in castro loci Sale, espressione che dimostra per la prima volta l'esistenza di una fortificazione nella zona (Avonto 1980, p. 176). Lunghe contese patrimoniali e giurisdizionali tra l'abbazia e le potenti famiglie dei De Ast, dei Cocorella e dei Bicchieri, interessarono il luogo fino alla metà del XIV secolo, quando, a partire dal 1376, fu la famiglia De Lanceis ad acquistare terreni e porzioni di fortilizio, rimanendone proprietaria fino alla fine del XVIII secolo. Per quanto riguarda le vicende storiche, nel 1335 Sali entrò a far parte dello Stato visconteo, come Vercelli ed il suo distretto, rimanendo però coinvolta, dopo un ventennio di tranquillità politica, nello scontro tra i Visconti e la lega del marchese del Monferrato Giovanni il Paleologo. Nel corso della guerra, Sali ed il suo castello vennero ripetutamente devastati dalle truppe monferrine (Avonto 1980, p. 176). Nel 1427, Filippo Maria Visconti cedette Vercelli ed il suo distretto ad Amedeo VIII di Savoia e, dunque, il borgo di Sali entrò a far parte dello Stato sabaudo; nel 1434 fu posto sotto la giurisdizione della vicina città di Vercelli, iniziando un lungo periodo di pace (Avonto 1980, p. 177). Dell'originario castello medievale è rimasto soltanto l'impianto planimetrico (Conti 1977, p. 183), infatti esso venne pressoché completamente riedificato all'inizio del secolo. Il castello dovette essere fin dalle sue origini adibito a cascinale e a riparo dei prodotti agricoli, piú che a fortilizio militare, e tale caratteristica ha conservato nel suo impianto, sostanzialmente rispettato dall'accurato restauro eseguito dall'architetto Luigi Broggi e dall'ingegner Cesare Nava nel 1910 (Ordano 1966). A pianta quadrangolare, era circondato da un fossato, e presentava tre torri quadrate (di cui due rialzate e dotate di elementi ornamentali nel restauro) e tre ingressi, sul lato meridionale, settentrionale e occidentale, anche essi rifatti e abbelliti dopo il 1910, come pure tutta la parte interna (Ordano 1985, pp. 129 -131). Il castello è tuttora adibito a tenuta agricola.
Salasco [92]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Salasco, nel centro abitato.
Superficie: 6500 mq.
Attestazione: 1461 (Avonto 1980, p. 187)
Il toponimo è presente per la prima volta in un documento del 1199 (Panero 1985, p. 20) e pare abbia origine longobarda (sala = casa signorile di campagna con annessi fabbricati rurali e l'aggiunta del suffisso ligure -asco) (Avonto 1980, p. 183). La documentazione riguardante Salasco e il suo castello è piuttosto scarsa, data la non particolare importanza che il borgo ebbe nella storia del Vercellese. I signori di Salasco, nella seconda metà del XIII secolo, sono presenti nella vita politica del Comune di Vercelli, al quale sono sottomessi. Tra la seconda metà del XIII e l'inizio del XIV secolo risultano signori di Salasco i Margaria alias de Riciis, antica famiglia vercellese di parte guelfa. Anche il monastero di Muleggio possedeva terre nella zona di Salasco, concesse in affitto agli abitanti del luogo (Avonto 1980, pp. 184-185). Nel corso dei lunghi conflitti tra guelfi e ghibellini fra XIII e XIV secolo il luogo fu coinvolto e danneggiato a causa dell'appartenenza alla parte guelfa dei suoi signori. Nel 1335 Salasco, come molte altre località del Vercellese, passò sotto il dominio di Azzone Visconti, cui i Margaria si sottomisero per evitare danni ai loro possedimenti. La pace, seguita al dominio visconteo, si interruppe nel 1355 a causa della guerra tra i signori di Milano e la lega anti viscontea guidata dal marchese di Monferrato. I disordini si aggravarono dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti nel 1402, quando le truppe della lega invasero il Vercellese per impadronirsi dei territori soggetti ai signori di Milano. Nel 1404 i Margaria, nel timore di perdere i propri possedimenti, fecero atto di dedizione ad Amedeo VIII di Savoia (Avonto 1980, p. 186). Nel 1427 si ha il definitivo passaggio di Vercelli e del suo distretto, e quindi anche di Salasco, ai Savoia. Del castello di Salasco non si hanno notizie fino alla metà del XV secolo e si presume che, fin dalle origini, non dovesse trattarsi di una costruzione realizzata a scopi militari e difensivi, ma destinata a riparo e conservazione dei prodotti agricoli (Avonto 1980, p. 187). L'attuale castello si presenta in buono stato di conservazione ed è stato riadattato a casa di campagna sulla base dell'antica fortificazione (Ordano 1985, p. 225). L'edificio ha pianta quadrilatera, con quattro torri cilindriche agli angoli, di cui quella situata a sud est ricostruita (Avonto 1980, p. 187). La modifica piú rilevante è costituita dallo spostamento dell'ingresso che originariamente era posto a nord, mentre attualmente si trova a est (Conti 1977, p. 183).Il castello è oggi adibito ad azienda agricola.
Selve [93]
Tipo: castello.
Localizzazione: Comune di Salasco, frazione Selve, nel centro abitato.
Superficie: 1700 mq.
Attestazione: 1414 (Ordano 1985, p. 264).
Come località Selve viene citata in un documento
del 1151 (Panero 1985, p. 22); essa fece parte dei possedimenti dell'abbazia
di Muleggio, detta anche infatti di Selve (Ordano1985, p. 263). Di una fortificazione
in muratura si parla solo dal Quattrocento in poi. Essa venne costruita
infatti nel 1414 (Ordano 1966; Ordano 1985, pp. 263-264; Conti 1977, p.
183), se è corretto interpretare in tal senso l'iscrizione su di
una tavoletta in cotto murata sopra l'ingresso del castello. Della sua storia
si sa ben poco e certamente la fortificazione non fu coinvolta in attività
militari di una qualche importanza. Quello che rimane del castello è
un complesso a pianta rettangolare con cortile interno: ad ovest, una torre
quadrata con porta carraia e pusterla, servite da ponti levatoi, sporge
dalla cortina; sull'angolo nord ovest è invece visibile una torretta
cilindrica, mentre agli spigoli nord est e sud est vi sono i resti di due
torri quadrate. Nei secoli il castello è stato molto rimaneggiato,
ma conserva tuttora in gran parte la sua fisionomia originale. Attualmente
è adibito a tenuta agricola.